Provate a chiudere gli occhi e immaginare un teatro di guerra: quello dove rimangono i corpi e i mortai avvolti nel silenzio, quello delle mine e gli ordigni inesplosi, quei bambini mutilati con un pianto quasi plastico, terribile, inascoltato. Quel freddo di morte dove camminano senza parole Omar, Asad, Leken, Jalal e chissà quanti altri in attesa che gli uomini, quelli che hanno in mano le loro sorti e i loro destini, decidano di bloccare gli ingranaggi, di concludere la commedia maledetta e far riprendere, come se fosse semplice, la vita di tutti i giorni. La guerra non lascia soltanto bare, disperazione e ferite lancinanti. La guerra, qualsiasi guerra, modella l’odio, il rimorso, acuisce il conflitto e non aiuta a riprendere il dialogo interrotto. La sofferenza contribuisce a disegnare la desertificazione dei gesti dove non esiste la solidarietà e il rispetto. Sembra tutto così lontano dai nostri piccoli problemi, sembra tutto così difficile da comprendere. Eppure dovremmo partire dalle piccole cose: la gestione dei conflitti è pane quotidiano nelle nostre famiglie, negli uffici, con gli amici. Provare ad avere la capacità di ascoltare tutte le parti in causa senza dover dire chi vince e chi perde. Nella guerra perdiamo tutti. Dovremmo, in qualche modo, cominciare a dirlo e a discuterne. Non dobbiamo ergerci ad essere pacifisti, dobbiamo affermare di essere contro la guerra. Dobbiamo farlo in nome di tutte le donne stuprate, dei bambini senza gambe, senza mani, degli uomini senza dignità. Dobbiamo farlo perché è l’interesse di tutti e in quei tutti ci siamo noi, anche la nostra piccola comunità che può cominciare a dire: adesso basta. Fermatevi. Rompete le armi e sminate le coscienze. Gli uomini devono avere altri canovacci di discussione, gli uomini devono essere capaci di superare l’odio, raccogliere le parole e provare a preoccuparsi del futuro del mondo. Possiamo e dobbiamo farlo. Sono i piccoli gesti a costruire complessità. Anche se ci crediamo assolti, siamo del tutto coinvolti. Proviamo, insieme, a dialogare di conflitti e di pace.
A proposito di armi e di follie: il 22 dicembre del 1942 Adolf Hitler firmava l’ordine di sviluppo dei razzi V2. Quelle scelte le abbiamo pagate a caro prezzo e non possono essere dimenticate.
Giampaolo Cassitta
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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