Il mondo colorato e variopinto dei gay sta facendo sussultare quello talvolta chiuso e conservatore degli etero. Ma il nervo davvero scoperto sembra essere la possibilità di adozione da parte delle coppie omosessuali.
Perché, spesso, anche chi vede con sufficiente normalità la coppia formata da due uomini o due donne, resta aggrappato a nozioni psicopedagogiche preistoriche di modelli genitoriali che devono assolutamente contemplare un papà ed una mamma.
In buona sostanza, chi ha una visione tradizionale di famiglia rimarca quanto pochi e poco conosciuti siano gli effetti a lungo termine sui bambini, frutto di quelle adozioni e, di conseguenza, i risultati.
E’ vero che non abbiamo una casistica vasta per valutare ciò nei prodotti di una coppia omosessuale; ma possiamo ben farlo nel campo di una famiglia etero. O sbaglio?
Ecco, io non ho fatto studi approfonditi sull’argomento e dal punto di vista della letteratura in proposito ho quel minimo sindacale di nozioni che alcuni esami di psicologia generale e dell’età evolutiva mi hanno offerto nel percorso di studi.
Ma io davanti a quei prodotti mi ci trovo ogni giorno per sei ore, da un paio di decenni a questa parte e l’idea che mi sono fatta proviene esclusivamente dallo studio empirico racimolato in un’esperienza costruita sull’analisi della quotidianità.
Siamo tutti d’accordo sul fatto che l’alternativa di una famiglia gay, in grado di fornire amore a piene mani ad un bimbo, è comunque opzione migliore dell’orfanotrofio, ma il problema eventualmente si porrebbe nei modelli di riferimento, nei quali identificarsi, che l’età evolutiva del bambino richiederebbe.
Volete conoscerla la mia casistica sui prodotti della famiglia etero? I risultati di anni di educazione ed esempi offerti da mamma e papà? Lascerò fuori, ovviamente, i casi di quelle famiglie assolutamente squisite e serene, la cui ricaduta sulla prole è sicuramente positiva e va a forgiare, si spera, futuri adulti abbastanza equilibrati e tranquilli. Ma nemmeno questo è matematico!
Se dovessi valutare i miei alunni come l’esclusivo risultato della funzione di una famiglia, non faticherei a attribuirle il ruolo di associazione a delinquere. Per il bene dei figli, naturalmente. Con tutto l’affetto possibile, che tuttavia non mette al riparo da grossolani errori. Non farò l’elenco dei bambini/ragazzini che spesso, passatemi la generalizzazione, sono la proiezione dei desideri repressi e insoddisfatti dei genitori, con un insopportabile carico di responsabilità che si porteranno come un fardello per non deludere mamma e papà. Di quelli cercati e voluti per cementare la coppia. Di quelli strumentalizzati per fare dispetto all’ex coniuge. Non vi parlerò di alunni che passano da stati d’ansia ad attacchi di panico almeno a giorni alterni, o di quelli che quando spiego il Pascoli ed il suo concetto di nido familiare scoppiano a piangere perché fanno il raffronto col loro, di nido familiare. Non vi racconterò di quelli che ripropongono in classe le stesse dinamiche di potere che vedono a casa, coi medesimi atteggiamenti aggressivi e di prevaricazione.
Non vi farò l’elenco di quelli che vivono in un clima di intolleranza e scarso rispetto, con mamma e papà che vanno in chiesa ogni domenica ma poi “gli extracomunitari vengono a rubarci il lavoro e andrebbero cacciati via a calci nel culo”, perché poi quel ragazzino i calci nel culo li darebbe davvero al compagno di classe rumeno.
Non vi parlerò dei ragazzini che se il papà parcheggia la macchina nel posto dei disabili, perché tanto è una cosa veloce, e al ritorno trova la multa nel parabrezza, il vigile è uno stronzo. Il vigile, eh? E il figlio intanto, nel sedile di dietro, assorbe e fa sua questa filosofia di vita.
Potrei continuare gli esempi fino a domani, senza tuttavia dire nulla di nuovo rispetto a ciò che sapete.
E, in tutto questo carosello di modelli, che non sono certo una minoranza, non potremmo scorgere dei ragionevoli motivi per pensare che una coppia gay, che tuttavia non è detto sia immune da queste dinamiche, forse di peggio non riuscirebbe a fare?
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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