Feydeau? Uno può dire che per la Compagnia Teatro Sassari è giocare facile: lui è “l’orologiaio della risata, la macchina perfetta del comico”, come più o meno da un secolo ripete la critica, loro sono il gruppo principe nell’abilità di portare nell’accogliente melting pot dell’etnia linguistica e culturale sassarese il meglio del teatro di costume da ogni parte del mondo occidentale.Ma, detto così, è troppo semplice. Hai presente il Feydau che vola invisibile ma pesantemente percettibile dietro le corna coniugali, le signore un po’ puttane e i signori puttanieri? Hai presente il Feydeau crudele, quello che i suoi personaggi li strozzerebbe, come volentieri avrebbe strozzato con le sue mani quelli reali che lo circondavano nella sua vita parigina frenetica, allucinata e infelice? Quella vita cominciata nella casa borghese del padre, scrittore à la page, nel 1862 e conclusa in un manicomio del 1921. Già, la follia. Che in fondo è la linea esistenziale sottesa ai piedi di ogni grande teatro.Di Feydeau – riabilitandolo trent’anni dopo la sua morte da un generale giudizio di mediocre giullare della borghesia – negli anni Cinquanta del secolo scorso hanno cominciato a dire che veniva dopo Molière e prima di Ionesco.Sarà anche vero, ma non c’è grandezza senza pazzia, la ribellione sofferente del genio alla banalità della vita.E’ questo il Feydeau vero, pazzo e crudele, quello che oggettivamente dava dell’imbecille al padre e della demi- mondaine alla madre pur di avvalorare la voce che lui fosse figlio naturale di Napoleone III. Ed è questo il Feydeau che la compagnia Teatro Sassari riesce a mettere in scena tra i vicoli di Sant’Apollinare e le famiglie benestanti dei quartieri di Cappuccini e di San Giuseppe. Senza rinunciare al meccanismo perfetto della risata ma facendo respirare al pubblico quel sottofondo fascinoso di piscio di gatto e di melanzane fritte che, tradotto in sassarese, è l’esprit parigino, napoletano e sassarese di Feydeau.Ed è stato quindi ancora una volta un grande successo.Sul palco del Teatro Civico, i rifacimenti di due opere meno note del grande drammaturgo: “La mamma buonanima della signora”, riadattata e riscritta da Mario Lubino con il titolo “La notti chi la mamma è morstha”; e “Il rimedio è peggiore del male”. Riuniti in una “Serata Feydeau” con la regia del bravo Alfredo Ruscitto e una bella scenografia agile e non troppo pesante di pizzi e velluti ottocenteschi pensata da Tomaso Tanda e valorizzata dalle luci di Marcello Cubeddu.Il primo atto unico, interpretato da Alessandra Spiga e Mario Lubino, sostenuti nel loro incalzante ricamo attoriale dai bravi comprimari Michelangelo Ghisu e Paolo Colorito, è un gioco di dialogo più che di trama. La storia consiste nel banale equivoco di un cameriere che annunciando la morte della sua anziana padrona sbaglia casa, gettando nella costernazione due coniugi che a notte fonda stavano già bellamente litigando per i fatti loro. Tutto è basato su questo litigio, di irresistibile comicità.Se lo sai fare bene.Alessandra Spiga e Mario Lubino, in quanto a “farlo bene”, mi hanno ricordato Omar Sivori nel 9-1 della Juve contro i giovani dell’Inter nel giugno del 1961. Una goleada senza partita vera, dove il pubblico, privo di troppi patemi d’animo, poteva abbandonarsi all’estetica pura del gioco. Un intero atto di dialogo con poca trama, in sostanza: ciò che per attori meno sicuri è una prova difficile (e lo si è visto in alcune rese testuali francesi e italiane di questa insidiosa operina), per loro è stato un passeggio veloce e sostenuto di perfetta eleganza fatto di scambi serrati di battute, dribblando tra tempi comici ed effetti scenici del dialogo, avviluppando il pubblico estasiato in una rete di ammiccamenti e di disvelamenti, di climax e anticlimax del duello umoristico che, anche quando apparivano scontati nel testo, nella recitazione dei due recuperavano il frizzo primigenio. Una prova di estrema grazia, in sintesi, il gusto della recitazione non inquinata da troppi eventi.Da applaudire come sempre Michelangelo Ghisu, il servo di casa, che nell’originale di Feydeau è in realtà una servetta, ma questa veste maschile (buffissima camicia da notte e papalina) è stata utile per dare sfogo alle abilità di caratterista dell’interprete. E perfetta anche la prestazione del servo distratto, un compassato e comicissimo Paolo Colorito.“Il rimedio è peggiore del male” , titolo originale e testo originale lasciato quasi intatto, è stato un’esaltazione di Teresa Soro. C’è da dire su questo atto unico che nonostante sia stato ritoccato quasi niente rispetto all’altro, sembra meno Feydeau del primo. L’unica differenza, anche in questo caso, è stato il cambio di sesso. E un servitore molto simile al cattivissimo Gaetano dell’ Armando Curcio de “I casi sono due”, diventa qui la serva Caterina Bretella, grottesco, meraviglioso personaggio costruito dall’inizio alla fine dalla bravissima Teresa Soro in una recitazione che spesso abbandona la comicità naturale del suo più usato stile per ricercare accenti psicologici e persino di sperimentazione linguistica che attingono a quel non detto amaramente sarcastico di Feydeau del quale parlavamo prima. Creando infine intorno a sé, con la sua forte centralità attoriale, un atto unico meno legato agli stilemi del creatore della vaudeville e più improntato a questa personale e interessante prova stilistica.Ottimo Emanuele Floris in una interpretazione questa volta classica (e per questo sapientemente stridente con quella della Soro) del personaggio del “Signore” nel bestiario del drammaturgo francese. Vanesio, spietato, classista e inevitabilmente destinato alla beffa, tratti che Floris ha reso con sicura e comica eleganza. Brava la giovane Elisabetta Ibba, accuratissima nella resa del personaggio della graziosa amante beffata e beffatrice. E come al solito impeccabile Margherita Nurra, la stupendamente severa mancata suocera.Insomma, l’ennesima riprova che il francese di Feydeau, se volete salvargli il brio e addirittura levargli quel tanto di affettato che nelle rese classiche ogni tanto emerge, può essere tradotto soltanto in due lingue: il napoletano di Scarpetta e il sassarese della Compagnia Teatro Sassari.
(La foto è di Michela Leo)
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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