Ci sono quelli che festeggiano il primo bacio, la prima notte di fuoco, la prima vera fuga da qualsiasi storia. Ci sono quelli che ricordano il primo ceffone, la prima bocciatura alla lunga serie di esami e ci sono i compleanni. Quelli si festeggiano sempre. Perché? Me lo chiedo da tempo: lo facciamo per passione.
Chissà perché abbiamo bisogno di ricordare, di costruire eventi e perché la macchina del tempo quando ci riporta ad una data riusciamo, come per incanto, a ritornare con la memoria a quei giorni, a quei luoghi, a quelle storie. Perché ne abbiamo assoluto bisogno. Lo facciamo, se ci fate caso, da molto presto. Ci sono quelli che festeggiano il primo bacio, la prima notte di fuoco, la prima vera fuga da qualsiasi storia. Ci sono quelli che ricordano il primo ceffone, la prima bocciatura alla lunga serie di esami e ci sono i compleanni. Quelli si festeggiano sempre. Perché? Me lo chiedo da tempo: che senso ha festeggiare qualcuno o qualcosa una volta l’anno, ripensare a quella ricorrenza, essere disposti a riportare le lancette degli orologi indietro. Lo facciamo per passione, per dimostrare la nostra esistenza, per dire: eccoci, esistiamo. Al di la dei grandi eventi, dei grandi uomini (o, perlomeno quello che si decide siano grandi uomini) al di la delle grandi imprese siamo tutti attenti, una volta l’anno, a spegnere le nostre candeline (che aumentano di anno in anno) e sempre disposti a far parte del coro di auguri dei nostri cari, dei nostri amici o di qualche ricorrenza. Ci sono quelle storiche: il 25 aprile, il primo maggio e poi Natale, Capodanno, il tuo onomastico, la fina della guerra, la nascita di un figlio, la partenza di un vaporetto per terre assai lontane. Il 19 giugno 1957 nasceva, per esempio, il subcomandante Marcos, leggenda messicana. Ma è, di fatto, un non-compleanno in quanto Rafael Sebastiàn Guillén Vicente ha sempre negato di essere lui il rivoluzionario dell’esercito Zapatista. Però tutto questo mi riporta al 2010, alla vacanza in Messico, a quando la guida si fermò davanti ad un posto di blocco e quando provai a chiedergli che ne pensava del Subcomandante Marcos mi rispose che lui pensava solo al turismo. Mi sono reso conto che lo stesso giorno, lo stesso mese e lo stesso anno è nata mia moglie Gemma e quindi oltre agli auguri per i suoi primi sessant’anni ho capito che la macchina del tempo è un bellissimo gioco dove tutti possiamo salire, fare un bel giro e planare dentro i ricordi, soprattutto quelli che abbiamo vissuto con chi ci è sempre stato vicino e può, dunque, condividere tutto da Roma a Napoli, Parigi, Barcellona e Mirò, madrid e Picasso, Cracovia, Bali, Cuba e Che Guevara, Copenaghen, Gerusalemme, Venezuela, Messico con il Subcomandante Marcos compreso!
(l’immagine è di un nostro bellissimo viaggio a Bali, lo scoglio dell’anima)
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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