“Le cose sono vere”. Che, detta così sembra essere una dichiarazione naturale, semplice. Il problema è però che quelle accuse di doping, per anni, sono state considerate dal signor Sandro Mazzola false. Non voglio essere tacciato di complottismo o, più prosaicamente, di disamore per lo sport: semmai l’esatto contrario. Però, scorprire che oggi, a 73 anni, il signor Sandro Mazzola confessi che quelle cose dette da suo fratello e legate all’Inter degli anni sessanta, quella di Herrera, Sarti, Burnich, Facchetti, ecc. sono, purtroppo, dannatamente vere, fa decisamente male.
Molto male. La storia era poco nota, ma girava da tempo. Ferruccio Mazzola, il fratello piccolo e meno bravo, scrisse un libro “il terzo incomodo” per un piccolo editore. In quel libro Ferruccio affermava delle cose che poi finì per confermarle ad un giornalista dell’Espresso, Alessandro Gilioli (ecco l’intero articolo) Cosa disse Ferruccio? Le stesse cose scritte sul libro: “Ho visto l’allenatore, Helenio Herrera, che dava le pasticche da mettere sotto la lingua. Le sperimentava sulle riserve (io ero spesso tra quelle) e poi le dava anche ai titolari. Qualcuno le prendeva, qualcuno le sputava di nascosto. Fu mio fratello Sandro a dirmi: se non vuoi mandarla giù, vai in bagno e buttala via. Così facevano in molti. Poi però un giorno Herrera si accorse che le sputavamo, allora si mise a scioglierle nel caffè. Da quel giorno ‘il caffè’ di Herrera divenne una prassi all’Inter. Non so con certezza cosa ci fosse dentro, credo fossero anfetamine. Una volta dopo quel caffè, era un Como-Inter del 1967, sono stato tre giorni e tre notti in uno stato di allucinazione totale, come un epilettico. Sandro e io, da quando ho deciso di tirare fuori questa storia, non ci parliamo più. Lui dice che i panni sporchi si lavano in famiglia. Mio fratello ha paura di inimicarsi i dirigenti nerazzurri. E tutti quelli che stanno ancora nel calcio non vogliono esporsi, temono di rimanere tagliati fuori dal giro. Sono legati a un sistema, non vogliono perdere i loro privilegi, andare in tv, e così via». Quelle parole gli costarono la rottura definitiva dei rapporti con Sandro Mazzola. Uno dei miei idoli. Quello della staffetta con Rivera. Uno della grande Inter. Uno che è tra i ricordi indelebili della mia infanzia. “Le cose sono vere”. Così, a 73 anni Sandro è ritornato sulla storia, due anni dopo la morte del povero Ferruccio. C’è tornato e ha, di fatto, confermato quello che il fratello diceva da tempo: “Le cose sono vere”. E’ come sentire Garcia Lorca che scrive una poesia contro l’amore, Michelangelo che afferma di odiare la scultura, Rousseau amare la tirannia. E’ come sentire il fragore dei sogni distruggersi in un attimo. Mazzola Sandro, classe 1942, figlio degli dei: Valentino e il grande Torino. Tre scudetti, due coppe campioni e due intercontinentali, quello che ha segnato la doppietta al Real Madrid nella finale di Coppa a Vienna. Mazzola Sandro, classe pura, poster sul letto, giorni e ore a guardarti correre e segnare, a tenerti per mano tra le tante figurine. “Le cose sono vere”. Non funziona così. Non si distruggono i sogni e non si gioca con i bambini e il loro mondo. Mazzola Sandro, in nome della verità che non hai mai raccontato e, anzi hai nascosto distruggendo tuo fratello, strappo la tua figurina dall’albo della mia infanzia e, per quanto mi riguarda, la staffetta con Rivera non c’è mai stata. Lo sport, la passione, la purezza, per un bambino e per chi ama la competizione “sono cose vere”.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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