Io non pensavo, no, dieci anni fa non lo avrei mai pensato, che un giorno avrei sentito il bisogno di scrivere un commento su Facebook per difendere Silvio Berlusconi, provando una certa pietà per lui e altrettanta pena per chi lo derideva.
Ieri Selvaggia Lucarelli ha postato un video di Berlusconi in tribuna, con bionda compagna e Galliani accanto, al minuto 90’ dello spareggio Pisa-Monza.
Berlusconi dormiva pesantemente, nonostante il clamore dello stadio e della rete gonfiata in quel preciso momento.
A migliaia di internauti non è parso vero di poter mettere in ridicolo l’uomo di potere, l’emblema del vincente, l’imprenditore dal passato ambiguo, ridotto ad un rincoglionito che russa in mezzo alla baraonda delle tribune zeppe di scalmanati urlanti.
Dieci anni fa sarei stato tra quelli.
Oggi nel Berlusconi che dorme allo stadio, davanti alle telecamere, vedo solo un vecchio di 86 anni, un uomo piegato dalla fatica e dal tempo.
Niente altro ci vedo, in quel video di Selvaggia Lucarelli da più di seimila like.
E quel Berlusconi mi fa tenerezza, per quanto non abbia mai provato alcuna simpatia per lui per il suo modo di intendere la vita e per i valori che ha indicato a milioni di persone.
Invece di indignarmi per la foto di una gamba nuda crivellata dai pallini data in pasto ai social sì, questo mi sarebbe successo anche dieci anni fa.
La gamba era quella di un ladruncolo sorpreso nottetempo dal titolare del bar che cercava di svaligiare, in un borgo non distante da casa mia.
Il titolare del bar aveva con sé un fucile e ha sparato: i pallini si sono conficcati nella coscia del ladro, punteggiandogli l’arto di decine di macchioline rosse, come un morbillo causato dal piombo.
La foto è finita sui social – io stesso l’ho ricevuta su whatsapp – e poi sui giornali, suscitando le più disparate ironie all’insegna del ben gli sta, a pallettoni doveva caricarlo il fucile.
Lo conosco, il titolare del bar: una persona perbene, un uomo pacifico, chissà cosa lo avrà spinto a sparare.
Ma la volgarità di un corpo sfregiato, messo da chissà chi alla berlina, non c’entra nulla con la reazione.
Io in questa gogna ci ho visto un manifesto sfrontato della giustizia fai da te e il principio secondo cui ad un fuorilegge, per di più romeno, nessun diritto alla dignità vada riconosciuto.
Ne avrei provato disgusto vent’anni fa, come oggi.
Almeno da quando ho provato orrore vedendo per la prima volta il cranio ammaccato a calci di un uomo che penzolava a testa in giù da una forca, in un piazzale di Milano.
Lessi, da qualche parte, che la dignità di un uomo vale più della sua peggiore azione. Continuo a credere che sia così.
Ma so che sono cause perse.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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