“Forma di condotta comunicativa atta a trasmettere informazioni e a stabilire un rapporto di interazione che utilizza simboli aventi identico valore per gli individui appartenenti a uno stesso ambiente socioculturale”. Questo è quello che trovo nell’enciclopedia Treccani on line alla voce “Linguaggio”. La questione del linguaggio mi torna in mente spesso ultimamente, preoccupandomi molto più di quanto non faccia quella della lingua. Il linguaggio serve a spiegare la realtà. Primo problema: è come se le due cose si stiano slegando. In una realtà complessa e difficile da interpretare, il linguaggio tende a semplificarsi eccessivamente. Secondo problema: il linguaggio serve a comunicarla, la realtà. Manco a dirlo, è il linguaggio dei media ad allarmarmi. Perché coi media abbiamo a che fare tutti, dal bambino che smanetta curioso coi cellulari giocattolo, alla signora di mezza età che deve scendere a patti con smartphone, pc e quant’altro. Un pensiero di queste ultime settimane è l’espressione “Bombe d’acqua”. Mi aiuta ancora una volta Internet- ah, i media!- e mi dice che la “bomba d’acqua” se la sono inventata i giornalisti italiani con un calco maldestro dall’inglese “cloudburst”. In parole povere, dal punto di vista meteorologico, non vuol dire una mazza, o comunque nulla di diverso dalla parola mandata in pensione, “nubifragio”. In effetti, vuoi mettere il sensazionalismo del sintagma “bomba d’acqua” con “nubifragio” che sa di muffa e non è per niente “gggiovanile?”. Peccato che questa “risciacquatura” del linguaggio assomigli più ad un frettoloso taglia, copia, incolla. A dirla tutta, poi, a me quando sento parlare di “bombe d’acqua” vengono in mente altre cose. Cose divertenti, tipo quei giochi da Water Paradise e i gavettoni. Mica quelle cose serie viste l’altro ieri nel Gargano, un mese fa nel Trevigiano e un anno fa in Sardegna. Tutte cose che hanno a che fare con : rischio idrogeologico; rispetto del paesaggio; riscaldamento globale – ve lo ricordate?- e inquinamento atmosferico; abusivismo. Noia e immagini troppo poco rassicuranti per l’era in cui viviamo e forse, per l’ambiente socioculturale in cui annaspiamo, per richiamare la definizione enciclopedica. Del resto, siamo quelli che si son pure trovati ragazze in minigonna a spiegare l’origine dell’anti ciclone delle Azzorre. Io, che il linguaggio delle previsioni meteo di quando ero piccola, me lo ricordavo serioso, con quell’uomo baffuto e barbuto che le spiegava bene, usando parole tecniche. Ora, al massimo, vedo una patacca gialla che assomiglia ad un sole e il colonnello che mi sorride e dice “ Domani fa bello! Italianiii, tutti al mare”!
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