Vedo da sempre, sin da piccolissimo, il lavoro come un qualcosa di nobile e utile, tanto da aspirare sin da giovanissimo ad una occupazione in quei mesi dove la scuola mi lasciava libero da interminabili giornate passate sui banchi in classe, da “semi-convittore”, entravo alle 08:30 ed uscivo alle 18:30. Giornate dove il mio fondoschiena ed il mio fisico, sempre pronto a qualsiasi attività nonostante la discreta snellezza che da sempre mi accompagna, erano costretti a indicibili sofferenze. Ma vendemmiare, raccogliere ed incassettare la frutta appena raccolta, trasportare i fardelli durante i traslochi o dare di pennello per imbiancare casa o per dipingere, erano tutte attività che mi facevano sentire utile, parte integrante di una società che col lavoro si campava ed evitava di sprecare il tempo in altri modi, molto meno nobili.
Affrontavo quindi ogni compito assegnatomi con serena diligenza e, in tutti i casi, cercavo sempre il modo e il metodo per svolgere quelle mansioni nel modo migliore, ma anche il meno faticoso possibile. Mi dava -e mi da tuttora- grandi soddisfazioni portare a termine ciò che mi prefiggo o che mi viene dato da fare. Nasce spontaneo in me, da sempre, l’istinto di dare una mano a chi vedo in difficoltà, sia si tratti di una qualsiasi anziana persona con le sporte della spesa, sia si tratti di un vicino o di uno sconosciuto in affanno. Senza aspettarmi nulla oltre ad un grazie in cambio.
Una passione insomma, per tutto ciò che è Lavoro. Tanto da ritrovarmi, a soli 15 anni e mezzo, già assunto e parte integrante di quel mondo, a tempo indeterminato. Erano gli anni settanta, all’incirca a metà di quel decennio, ed io già mi ero reso economicamente autosufficiente e potevo alleggerire la mia famiglia di tutto quel carico di spese inerenti alle mie passioni, al mio svago ed ai miei hobby.
Ricordo anche quanta fatica ci volesse, però, già da allora, per trovare quello che abbiamo sempre chiamato “il posto fisso”, ricordo che servivano, per qualsiasi occupazione, dosi corpose di raccomandazioni e “conoscenze”. Fu infatti grazie ad un mio intraprendente cognato, dirigente di una di quelle aziende assicurative di “mutuo soccorso” poi scomparse ed in seguito scomparso anch’egli, che fui assunto in una grande cartolibreria cittadina ed intrapresi la carriera di “commesso”. Quell’azienda poi chiuse, ed io mi ritrovai disoccupato, con l’unica alternativa nel lavoro nero, manovalanze edili o agricole, piccoli lavoretti di vario genere, lavori di fatica come scaricare interi vagoni di concime o articolati di angurie, posti da barista o cameriere. Tutte occupazioni rigorosamente “non regolarizzate”. Questo per anni, rinunciando così, a marolla*, ad una consistente fetta di anni di contributi e di tanto altro. Ore straordinarie non pagate e quella sempre pendente lama della precarietà e della inconsistenza in dignità e diritti.
Poi arrivò il lavoro stagionale, che intercalavo sempre ad altro lavoro nero. Beata gioventù, beata e spensierata perché non sa, che quei problemi che oggi vede distanti, un domani ti si presenteranno davanti a chiederti conto. Ma non serbo comunque nessun rimpianto, nessun rimorso, nemmeno per quei periodi in cui mi godevo l’ozio beato del dolce far niente ed avevo modo di utilizzare quella conquistata indipendenza per esplorare il mondo. Imparare ad andare in barca a vela, occuparmi di politica e partecipare ad essa o solo dedicarmi ad una delle mie passioni più grandi, la musica. Gratuite infatti, ché non posso parlare di lavoro nero per attività che ritenevo un piacevole svago, come fare lo speaker radiofonico o il DJ in discoteca, scrivere per un giornale solo per il gusto di comunicare con altri. Tutte cose che mi hanno comunque arricchito tantissimo, se non pecuniariamente, quantomeno dal punto di vista dell’esperienza e della conoscenza.
Nel 1990 però, arrivò l’occasione che tutti aspettano nella vita, l’opportunità di un lavoro vero, quel posto fisso aspirazione, oggi, di molta più gente di allora. Si trattava di un lavoro in una famosa quanto grande catena di ipermercati, la prima ad essere sbarcata in Sardegna, la mia città fu la prima ad accoglierne l’ingombrante presenza. Sin da subito però, capii che quel connubio, fra me e quei sistemi e rapporti di lavoro e di commercio, non sarebbe potuto durare davvero a tempo indeterminato, così fu infatti, non arrivai a concluderci il decimo anno. Ma anche quell’esperienza mi servì, come tutte le altre, per conoscere quel mondo e tutto ciò che intorno alle grandi dinamiche del mercato gira, quali tipi di rapporti fra colleghi e con i “superiori” attivino determinate realtà. I miei valori non sono mai cambiati, l’onestà e l’equilibrio della giustizia sono sempre stati i miei perni portanti e lo saranno sinché campo. Dico questo pensando a chi ruba la caramella credendo che questo sia più onesto che rubarne un pacchetto o, come nel mio caso, regalarlo, pur non essendo esattamente il tuo, a chi non se lo potrà mai permettere, perché sai che di quei pacchetti ne hai venduti e ne vendi così tanti da non creare certo alcun scompenso a nessuno. Ragione che in un certo qual modo fu causa della mia uscita da quel mondo. Un mondo dove avevo portato la mia creatività e professionalità, correndo il rischio di perderle per sempre, dove non ho mai negato un aiuto o un suggerimento a nessuno e dal quale ricevetti solo, in massima parte, chiusure ed indifferenza. Ma nel quale -l’ho saputo molto tempo dopo averlo lasciato- restarono a molti buone dosi di rimpianto e pentimento che non saprei, oggi, davvero dove mettermi.
A me, di quegli anni invece, non rimase proprio nulla dal punto di vista umano se non il ricordo di pochissime e precise persone che, alla fine e come me, di quel mondo non fanno più parte e non necessariamente perché raggiunta l’età pensionabile. Ero, là dentro, fra i pochi che si rendevano conto di come i diritti e la dignità stessero in quegli anni subendo dei duri colpi e tutti sulle spalle del lavoratore, ne parlavo e mi ribellavo e questo -oltre che generare lunghe schiere di miserrimi “spioni”- dava fastidio ai piani alti, faceva di me un elemento scomodo perché “non inquadrabile”. In mezzo a sindacaliste/i che di fronte alle evidenti e pericolose trasformazioni unilaterali dei contratti e delle mansioni tacevano e si sistemavano i parenti, si, proprio così. Sindacaliste/i che facevano parte di sigle che tutti ritenevano “di sinistra”, che fagocitavano per Forza Italia in periodo elettorale, che tacevano su comportamenti al limite del mobbing, lasciandoli subire silenti a giovani inconsapevoli dei loro diritti, da parte di dirigenti e dei loro sottoposti. Ma stare chiuso, a sopportare tutto questo senza vedere un solo raggio di sole, a volte per intere settimane, non faceva certo per me. Che resistevo solo perché nel frattempo mi ero fatto carico di un consistente mutuo e mi accingevo ad accasarmi. Fu proprio quell’anno, che mi sposai e persi il lavoro, come regalo di nozze.
Cosa fare? La situazione che si era venuta a creare non aveva nulla di piacevole ne’ di immediatamente raddrizzabile, ma non mi persi d’animo. Tornai a quelle cose che avevo imparato, altre cercai di impararne e misi in atto la mia riconversione. Ripresi a navigare ma questa volta non più per svago, ad occuparmi di politica, della terra ed a viaggiare come e più di prima per il mondo, a dedicarmi alle persone e attività che quei dieci anni mi avevano privato di frequentare e a stare sempre meglio, tanto da sentirmi dire spesso, quando incontro qualcuno dei vecchi colleghi, che appaio loro ringiovanito anche più di allora. Queste sono soddisfazioni che contano molto più di stipendi e ruoli che per me hanno contato, sempre, molto meno delle persone e degli affetti, della mia dignità.
Vedere quindi oggi i giovani, perché di “attempati” in queste realtà è sempre più raro trovarne, sgomitare e arrivare sino ai limiti della più vergognosa scorrettezza morale e sociale pur di riuscire ad essere assunti all’interno di quelle scatole di cemento (oggi beneficiate di ulteriori agevolazioni), piene di altre scatole e prodotti da sistemare dentro cupi scaffali uguali ovunque, mi mette davvero una profonda tristezza. Vedere quanto, ciò che cercavo di combattere ieri, si stia oggi realizzando anche peggio, che le professionalità e le mansioni si siano moltiplicate per ogni singolo lavoratore così come i ritmi, gli orari ed il peso di esse si siano ampliati ulteriormente, a fronte di stipendi e di un potere di acquisto ridotti ai minimi storici, mentre i guadagni di chi dirige e possiede vanno in senso decisamente opposto. Questo non fa che confermare quelle mie antiche paure, quelle mie preoccupazioni che, visto che sarebbe comunque per me andata a finire così com’è andata, era proprio per loro che nutrivo , era per loro che lottavo e solo dopo mi resi conto di quanto fosse inutile, farlo da soli. Ma ad essere da solo non sono più io, ma ognuno di loro. Anche nel mezzo di un iper-magazzino iper-affollato.
A me la lezione bastò, mi auguro che possa presto essere così anche per tutti loro, che si capisca finalmente che tutto questo non può e non deve durare per sempre. Che è tristemente e purtroppo vero che è inutile, faticare per liberare dalle catene nessuno se chi, una volta liberato, non vuole imparare a restare libero ma corre a cercare altre catene, piccole o grandi catene dentro le quali rinchiudere la sua, forse immeritata, Libertà. Dove svendere con ridicole formule matematiche, 3X2 – 6X4, la sua dignità insieme a quei prodotti che in vetrina espone.
Che non vuole imparare la differenza fra l’avere, riconoscere e riconoscersi un inestimabile valore, o l’avere soltanto un banale prezzo e per giunta sempre più “scontato”.
*a marolla = a malavoglia, obtorto-collo.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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