Da oltre vent’anni, per via della mia professione, mi rivolgo a una platea di giovani.
E, in oltre vent’anni di quotidiana attività, credo di non esser riuscita a racimolare nemmeno un decimo delle orecchie che Jovanotti raduna in uno solo dei suoi concerti. Sulla qualità del cervello delimitato da quelle orecchie potremmo anche discuterne, ma non divaghiamo.
Transeamus.
Dicevo che, purtroppo o per fortuna, non annovero tra i miei uditori il numero considerevole che può vantare lui e, nonostante ciò, sento il peso dato dalla responsabilità di quel che esce dalla mia bocca. Ogni giorno. Non potrei mai immaginare di entrare in una classe, chiudermi la porta alle spalle, ed esclamare con sgradevole sicumera:
“Il mondo è cambiato, nei festival in America si vedono tantissimi ragazzi che lavorano. Tutti volontari, non vengono pagati, ma si portano a casa un’esperienza. È capitato anche a me!”
Perché dopo averla pronunciata, quella frase, la faccia mi s’intristirebbe come il tramonto in una discarica di scorie nucleari e non mi sentirei affatto tranquilla. Quella formuletta standard del “sono serena”, che spesso pronunciano gli indagati con una coscienza più torbida delle acque del porto di Civitavecchia, la accartoccerei con violenza e la butterei nel cesso. E sarei tutt’altro che placida perché, fatta salva l’ingenuità del giovanotto, della cui sprovvedutezza non sono affatto sicura, quell’affermazione racchiude una mole di stronzate in una manciata di parole.
Se io mi fossi trovata in mezzo ai destinatari del discorso di Jovanotti, nessun autocontrollo mi avrebbe trattenuta dall’impulso irrazionale ma poderoso di piantargli un piede nel culo per aiutarlo a uscire dall’aula.
Talvolta le situazioni disperate richiedono contromisure disperate. Mi sarei rivolta a quella platea rapita raccomandando, con tutta la determinazione possibile:
“Ragazzi non lavorate gratis. Non fatelo mai perché svilite la prestazione che erogate e vi deprezzate quando, invece, dovreste essere i primi a salvaguardare la vostra dignità. L’onorabilità del vostro lavoro è sancita proprio dal compenso economico, oltre che dalla passione e dalla professionalità che ci mettere nel farlo. Non dispensate la vostra opera gratis perché implicitamente state accusando di furto chi, per svolgere quelle stesse mansioni, si fa pagare. Non cedete e non patteggiate, lusingati da un ritorno di immagine da sbandierare nel curriculum, e guai a voi se acconsentite ad uno scellerato accordo che sancisce il vostro utilizzo come volontari: l’unico scambio che potete concedere è quello in cui la cessione di tempo della vostra vita viene commutata in una congrua remunerazione.
Non scambiate la gavetta con lo sfruttamento legalizzato perché, una volta accettate quelle condizioni, entrate in un limbo indistinto dove oscillerete per anni tra il “non più” e il “non ancora” dal quale raramente riuscirete ad uscire, se non pagando un riscatto ancora più gravoso.”
Ecco quel che avrei detto io alla platea di Jovanotti.
Il resto dello spettacolo ce l’hanno raccontato i giornali, il cantante, forse spaventato dall’onda di polemica derivata dal suo discorso, ha ritrattato con una manifestazione di pentimento formale e indiretta. E così, convinto di disinnescare quella scomoda bombetta puzzolente, ha affermato:
“Ora va bene tutto, ma io di passare come quello che avrebbe detto che è giusto lavorare gratis non ne ho nessuna intenzione, per il semplice fatto che non l’ho detto e non lo penso.”
Lorenzo, che tu dica fesserie ci sta. Ti concediamo anche la rettifica, conseguente alle reazioni di una platea discorde. Ma, spiace per te, la puzza delle stronzate ormai dette è rimasta nell’aria. Torna a parlarci delle motivazioni per le quali sei un ragazzo fortunato, ché è meglio per tutti.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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