Io ci sono cresciuto con “Malizia” e “Trappola per un lupo”. Me la sono sognata per mesi Laura Antonelli. Era il 1972 e avevo tredici anni. Il film, però, proiettato al Cinema Miramare ad Alghero, era vietato ai minori di quattordici anni. Con il mio amico Antonio, uno spilungone di sedici anni, acquistammo i biglietti e io quasi mi nascosi davanti alla maschera che scrutava severo gli ingressi in platea. Ho sempre pensato che mi abbia graziato e io, a tredici anni vidi, la mia eroina, il mio ideale di bellezza. L’attore era Jean Paul Belmondo, la trama molto banale, in un film tutto sommato non un capolavoro. Ma sancì l’incontro tra i due attori anche nel privato e decretò anche il mio amore appassionato per le tette della Antonelli. Oltre al seno lei aveva quello sguardo lontano, accovacciato tra lo stupore e la rassegnazione e aveva un corpo che raccontava tutta la bellezza e la dolcezza del creato. Di una bellezza quasi sfacciata. Non è stata fortunata perché, di fatto, è stata distrutta dalla sua stessa bellezza e le parti che le venivano offerte, al cinema, giravano sempre su quello: il suo corpo. Malizia, un film del 1973, non riuscii a vederlo. Il salto da quattordici a diciotto era davvero alto e a quei tempi non c’erano le videocassette a ripetere dopo sei mesi i lungometraggi. Insomma a me Malizia lo raccontarono. Quel film divenne per me un romanzo: la domestica che si invaghisce di un ragazzino; il film riuscii a vederlo solo quando la maturità era giunta da tempo e Laura Antonelli era diventata solo un’icona sbiadita della mia adolescenza. Mi fece male saperla in carcere per una a triste vicenda di possesso di cocaina (35 grammi per uso personale) per la quale quando le venne riconosciuto l’uso abituale di sostanze stupefacenti venne definitivamente prosciolta. (passarono nove anni). Viveva in un limbo dove è difficile comprendere molti passaggi e mi addolorò moltissimo saperla in gravi condizioni economiche. Laura Antonelli muore a 74 anni dimenticata da tutti, un po’ come aveva richiesto. Non mi chiedo mai perché si scelgono alcuni percorsi individuali. Sono, appunto individuali e dunque intimi. Io a Laura Antonelli ci ho voluto molto bene e ho voluto bene anche alle sue generose “tette” in film, tutto sommato dolcissimi e veri rispetto alla plastica e alle costruzioni terribili degli ultimi anni. Ho anche amato molto Fellini e la sua città delle donne. Non ho mai capito perché Laura Antonelli non sia mai stata invitata. Forse per via di quello sguardo sottile e malinconico: quella saudade leggera, quei colori pastello che poco avevano a che fare con la carnalità di Fellini. Ciao Antonella, a pensarci ritorno adolescente con la consapevolezza di non esserlo più. Però ti ringrazio per i piccoli sogni, per le tette e per quello strano sguardo, tra malizia e ingenuità.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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