È uscita la nuova enciclica di Papa Francesco. Non sono impazzito. È uscita e l’ho letta. È la prima volta che ne leggo una per intero. La consiglio a tutti, specialmente agli atei e a chi si incazza ogni volta che qualcuno vuole rifare la sinistra. L’enciclica si intitola “Laudato si’”. Da un Papa così me l’aspettavo. Delle duecento pagine di che è fatta, almeno centocinquanta sono un bellissimo e inatteso trattato di educazione ambientale. Anzi, siccome “educazione ambientale” ormai suona stantio, direi che è un bellissimo e inatteso trattato di “educazione alla complessità”. Quella materia che non esiste (la formula non l’ho mai letta da nessuna parte) e che dovrebbe spiegare in che senso lo scarafaggio è bello, in che senso la morte è giusta, in che senso la merda è utile. Laddove in ogni chiesa, ma anche nelle scuole, di solito lo scarafaggio è schifoso, la morte è il male e la merda è merda. Francesco invece dice cose che Luca Mercalli, da Fazio, non ha mai potuto dire.
L’enciclica consta di 246 brani. Ne indico giusto alcuni, con i passaggi più scandalosi.
Innanzitutto la Terra, Gaia, è “casa comune”. In moltissimi punti dall’inizio alla fine, viene sottolineata l’interconnessione radicale nei e dei sistemi viventi. Traspare da cima a fondo l’idea di una integrità che è necessario riconoscere in tutto ciò che è vivo e interconnesso, dalla cellula alla biosfera. Si viene più volte messi in guardia contro lo sguardo che isola e separa, lo sguardo da laboratorio o da consiglio di amministrazione, lo sguardo che concepisce anche le soluzioni come qualcosa di isolato, facendone in breve altrettanti problemi. E si parla della bellezza come principio regolatore, come criterio di valutazione della qualità e dello stato di salute delle relazioni e dei processi. A un certo punto, sulla bellezza, si legge questa cosa qua: “sembra che ci illudiamo di poter sostituire una bellezza irripetibile e non recuperabile con un’altra creata da noi”. Basterebbe questo a farci fare un po’ di silenzio. Però il testo continua.
Tornano spesso, come fili che cuciono altri discorsi “l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita”.
C’è piena consapevolezza del fatto che il cambiamento, che pure è il sale di ogni sistema complesso, nel caso dell’azione umana è troppo rapido, e la biosfera non riesce a stargli dietro. E chi ne paga prima e più duramente le conseguenze sono le società e gli individui poveri, perché “la tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri” perché ad esempio “il sistema industriale, alla fine del ciclo di produzione e di consumo, non ha sviluppato la capacità di assorbire e riutilizzare rifiuti e scorie. Non si è ancora riusciti ad adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare”.
A un certo punto, e non me l’aspettavo, entra nello specifico parlando di cose che a un congresso del PD è pressoché impossibile sentire: prelievo di biomassa dagli oceani, ciclo dell’acqua e soprattutto ciclo del carbonio, e dell’accelerazione interna al processo di riscaldamento: più caldo significa più ghiaccio sciolto, che significa più materia in decomposizione, più gas serra intrappolati nel ghiaccio da millenni e liberati nell’aria, più caldo e il cerchio si chiude e riparte.
Parla anche di migrazioni, a un certo punto, e lo fa con la visione di chi ha capito che le leggi della biosfera sono sovraordinate ai regolamenti dell’Unione Europea: “Per esempio, i cambiamenti climatici danno origine a migrazioni di animali e vegetali che non sempre possono adattarsi, e questo a sua volta intacca le risorse produttive dei più poveri, i quali pure si vedono obbligati a migrare con grande incertezza sul futuro della loro vita e dei loro figli. È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa”.
È sorprendente il coraggio politico di questo Papa, anche se Jeb Bush (proprio lui) lo ha rimproverato e gli ha detto di non azzardarsi a parlare di riscaldamento globale. È sorprendente quando a un certo punto afferma: “Il debito estero dei Paesi poveri si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico. In diversi modi, i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. Bisogna conservare chiara la coscienza che nel cambiamento climatico ci sono responsabilità diversificate e, come hanno detto i Vescovi degli Stati Uniti, è opportuno puntare «specialmente sulle necessità dei poveri, deboli e vulnerabili, in un dibattito spesso dominato dagli interessi più potenti».
Verso la fine, quando prova a indicare dei percorsi virtuosi e lo fa ritornando, come una ruota, su parole già dette, ci sbatte in faccia in dieci righe una potentissima lezione sulla complessità e sulla necessità di andare oltre i paradigmi occidentali di pensiero e azione, e dice: “L’ecologia studia le relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui si sviluppano. Essa esige anche di fermarsi a pensare e a discutere sulle condizioni di vita e di sopravvivenza di una società, con l’onestà di mettere in dubbio modelli di sviluppo, produzione e consumo. Non è superfluo insistere ulteriormente sul fatto che tutto è connesso. Il tempo e lo spazio non sono tra loro indipendenti, e neppure gli atomi o le particelle subatomiche si possono considerare separatamente. Come i diversi componenti del pianeta – fisici, chimici e biologici – sono relazionati tra loro, così anche le specie viventi formano una rete che non finiamo mai di riconoscere e comprendere. Buona parte della nostra informazione genetica è condivisa con molti esseri viventi. Per tale ragione, le conoscenze frammentarie e isolate possono diventare una forma d’ignoranza se fanno resistenza ad integrarsi in una visione più ampia della realtà”. Quest’ultimo brano andrebbe letto e riletto. Contiene tutto quello che vale la pena inserire in qualsiasi programma ministeriale di scienze o di geografia.
Ne dice di cose Jorge Mario Bergoglio, ne dice e ne ripete. Però non parla nemmeno una volta del Family Day. Neanche un piccolo accenno a Mario Adinolfi e alle sentinelle. Anzi, forse si, implicitamente, quando parla di relativismo culturale e lo fa in modo favorevole. Nel brano 144, verso la fine, parlando di biodiversità culturale dice questo: “La visione consumistica dell’essere umano, favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro dell’umanità. Per tale ragione, pretendere di risolvere tutte le difficoltà mediante normative uniformi o con interventi tecnici, porta a trascurare la complessità delle problematiche locali, che richiedono la partecipazione attiva degli abitanti. I nuovi processi in gestazione non possono sempre essere integrati entro modelli stabiliti dall’esterno ma provenienti dalla stessa cultura locale. Così come la vita e il mondo sono dinamici, la cura del mondo dev’essere flessibile e dinamica. Le soluzioni meramente tecniche corrono il rischio di prendere in considerazione sintomi che non corrispondono alle problematiche più profonde. È necessario assumere la prospettiva dei diritti dei popoli e delle culture, e in tal modo comprendere che lo sviluppo di un gruppo sociale suppone un processo storico all’interno di un contesto culturale e richiede il costante protagonismo degli attori sociali locali a partire dalla loro propria cultura. Neppure la nozione di qualità della vita si può imporre, ma dev’essere compresa all’interno del mondo di simboli e consuetudini propri di ciascun gruppo umano”.
Se siete arrivati a leggere fino a qui vuol dire che l’argomento vi tocca. E allora vi faccio una domanda, a cui io non so rispondere: perché è così difficile che la scuola e i congressi di partito e i consigli comunali e i mass media si occupino di ecologia e perché l’educazione ambientale passa alla fine per una roba da fighetti, o da sfigati, quando in realtà ci stiamo giocando la pelle? Perché lo scarabeo stercorario si orienta con la Via Lattea e quasi nessuno, la Via Lattea, ci ha indicato nel cielo dov’è?
Perché?
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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