C’è il dolore di chi piange un figlio ammazzato, quello di chi piange un figlio in galera e quello di chi il figlio lo cerca disperatamente da due anni, sapendo che non lo ritroverà vivo. Tre dolori profondi quanto l’inferno si incrociano e si rincorrono da ore, in un’anticamera di tribunale.
Gianluca aveva 19 anni quando è stato ucciso nella sua Orune, in una mattina di maggio, alla fermata del bus che avrebbe dovuto portarlo a scuola. Paolo, il suo presunto assassino, ne aveva 17, motivo per cui viene giudicato dal tribunale dei minori. E poi c’è Stefano che di anni ne aveva 29, di cui non si sa più nulla se non che l’auto utilizzata dall’assassino, in seguito data alle fiamme, era la sua.
C’è chi aspetta di avere giustizia, chi auspica clemenza e chi non troverà pace, comunque vadano le cose. Nell’anticamera del tribunale i pensieri devono essere pesanti come macigni portati sulle spalle, avanti e indietro, un passo dopo l’altro. In attesa di un verdetto che possa cominciare a spostare verso il passato, in qualche modo, quel dolore continuamente rievocato.
L’attesa è durata sei ore. Il tribunale dei minori di Sassari ha giudicato colpevole Paolo Pinna, condannandolo a venti anni di carcere. Lui che sperava di trascorrere la Pasqua in famiglia. “E ora chi glielo dice?” è stata la reazione del padre. Ci sarà un appello, forse un terzo grado di giudizio. La parola fine non è ancora stata scritta. Il dolore di chi piange un figlio ammazzato, quello di chi piange un figlio in galera e quello di chi il figlio continua a cercarlo, sapendo che non lo ritroverà vivo, escono dall’anticamera del tribunale per fare ritorno alle rispettive case.
Marco Masala continuerà a cercare suo figlio Stefano e non avrà pace finché non lo troverà. Lo ha promesso a sua moglie, sul letto di morte, che lo troverà. Solo quel giorno, probabilmente, il vento caldo della rassegnazione potrà cominciare ad alzarsi.
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