Pollock, Jackson (1912-1956): Number 34, 1949, 1949.. Utica (NY), Munson-Williams-Proctor Arts Institute*** Permission for usage must be provided in writing from Scala. May have restrictions - please contact Scala for details. ***
Cominciammo a saltare venti centimetri. Non era molto difficile e la gente ci guardava con sospetto. Riuscimmo agevolmente a farlo e posammo l’asticella a trenta centimetri. Non c’era mai riuscito nessuno a saltare così in alto. Ma eravamo bravi, eravamo preparati e ci trasportava la passione. Poi quell’asticella divenne un modo per affermare la nostra forza e la volontà: potevamo e dovevamo metterla più in alto. Fu posata a ottanta centimetri, un’altezza mai vista, mai conosciuta, mai osata prima. Fu quello il verbo che ci fece superare l’ostacolo: osare. Qualcuno cominciò a dire che a quell’altezza non tutti quelli presenti nella comunità ce l’avrebbero fatta. Non i vecchi e neppure i bambini. E neppure gli storpi e i malati. Noi dovevamo osare. Fissammo l’asticella ad un metro e tutti cominciarono ad applaudire. Nessuno aveva mai tentato una sfida così forte, così bella, così “maschia”, come qualcuno la dipinse nei racconti. Ad un metro molti non riuscirono a saltare: erano gli smidollati, quelli paurosi, quelli che non ci credevano. Quelle persone non erano in grado di osare. Arrivammo a due metri e poi due metri e cinquanta, tre metri. Infine l’asticella arrivò a tre metri e quaranta. Non la saltò nessuno perché tutti si erano fermati prima, molto prima. Ci guardammo intorno e davanti a quel deserto cominciammo a contarci. Eravamo davvero pochi. Gli ultimi e gli unici. Tutti quelli che ci avevano applaudito non erano riusciti a saltare l’asticella. Neppure noi, a dire il vero ce l’avevamo fatta. Li avevamo solo raggirati con enorme furbizia. Furono i racconti, le leggende, la propaganda a dire che quell’asticella eravamo in grado di saltarla. In realtà eravamo stati costruiti per passarci sotto. Molto sotto. Però la gente ci aveva creduto. E osservando quello strano orizzonte non si erano resi conto che, a volte, non occorre saltare per vivere con gli altri. A volte basta solo guardarsi e darsi la mano; essendo in tanti, per esempio, si saltano più ostacoli. E si ha il tempo per aspettare tutti. Nessuno escluso.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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