In un giorno di agosto, sotto il sole di mezzogiorno, l’assessore mancò il verde e preferì fermarsi. Non c’erano guardie ma con il giallo era meglio non tentarci. Molti conoscevano la sua macchina e si finiva su Facebook anche per meno. Guardò distrattamente le mura e vide l’antenna tv. L’assessore era molto rispettato. E se avesse in quel momento chiamato il sindaco e gli avesse consigliato di rimuovere quell’antenna televisiva, forse, prima del verde, avrebbe fatto in tempo a vedere, lì dalla sua macchina, gli operai del Comune che la buttavano giù. Già, che cosa ci faceva quell’antenna su un pezzo prezioso di storia sopravvissuto miracolosamente all’antica e sempre viva compulsione demolitoria degli abitanti di quella città? Il rosso durava, smaltiva tutto il traffico di corso Trinità verso il Cavalcavia e viale Porto Torres, centinaia di cittadini in fila ansiosi di affollare i centri commerciali extraurbani e di desertificare l’urbe. Pensava anche a questo, l’assessore. Ma le sue riflessioni su come disinnescare quella mostruosa zona commerciale che stava accelerando il declino erano disturbate dall’antenna. Che brutta! Spuntava come un albero di Natale secco buttato in un cassonetto su una delle poche torri rimaste dopo la scomparsa delle antiche mura. Quella era l’unica zona in cui almeno l’ombra della cortina difensiva della città medievale aveva resistito alle demolizioni incalzanti della seconda metà dell’Ottocento. Il furore dei picconi si era scatenato soprattutto dopo il colera del 1855. La città doveva respirare, si doveva allargare, non più case malsane addossate le une alle altre perché costrette dentro la cinta. Tutte balle, sorrideva tra sé l’assessore, che la storia la conosceva. Nient’altro che speculazione edilizia, allora come adesso, condita da un impazzimento modernista che anziché favorire il processo di espansione con l’apertura di nuovi varchi nelle mura, le aveva fatte proprio scomparire. E c’era passato anche il vecchio Castello, incorporato nelle mura, i cui resti sotterranei erano da molti anni meta di pellegrinaggi dei cittadini, tardivo e poco credibile pentimento per un disastro storico reiterato in tempi moderni con altre demolizioni e ricostruzione di obbrobri sulle macerie. E si chiedeva, l’assessore, perché quell’orribile antenna doveva rovinare la magnifica vista di quel nobile e malinconico resto di medioevo, quell’avanzo di grandezza, quella testimonianza del momento in cui si era capito che l’agglomerato di case che si era allargato intorno a Pozzo di Villa era ormai una vera città che faceva gola a molti potenziali invasori e che quindi andava protetta da mura e da torri. Via quell’antenna, quindi. Ma l’assessore voleva saperne di più. C’era qualcosa che non sapeva cosa ma che gli impediva di telefonare subito al sindaco. Un alberello secco da immondizia, quell’antenna. Ma l’assessore voleva scoprirne le radici. Scattò il verde. Avanzò sino alla piazzetta con la Colonna del grande scultore cittadino e l’ex albergo che tutti volevano demolire già da prima che venisse costruito e trovò un posto per la macchina. E un passo dietro l’altro, senza perderla di vista, tornò sino all’antenna, fermandosi sotto la torre quadrata e gli avanzi di mura. Stette a faccia all’insù per un bel po’, come fosse stato un turista nella città in cui viveva da tutta la vita. Davanti gli si allungava un canale di ciottoli e lastre di pietra tra vecchie casupole. Via Delle Muraglie. Tutte le case alla sinistra erano appoggiate alle mura. Erano tutt’uno. Potevano essere state addossate ai ciclopi medievali per comodità edificatoria, come la ragione suggeriva all’assessore. O potevano essere state le mura a generarle in una sorta di misteriosa partenogenesi, come gli sussurrava un’irrazionale e misteriosa attrazione verso quella lunga fila di casupole che abbrancate ai resti della cinta continuava su su sino al fabbricato della Frumentaria e al fantasma di Porta Rosello. Ma perché, si chiedeva l’assessore, sempre più incantato in quello straniamento temporale, le mura hanno generato le case? Poi ebbe improvvisa la risposta. Per difendersi. Non c’erano più nemici esterni dai quali difendere la città, ma c’erano i nemici interni dai quali difendere se stesse, la memoria dei vecchi eroici guardiani. Ed ecco la cortina di case che protegge la cortina di pietre di tufo, di torri e di stemmi scolpiti che nessuno ha avuto il coraggio di buttare giù perché diventata il supporto irrinunciabile per i cittadini che ormai le abitavano, quelle pietre. La grande e unica parete portante che attraversava le loro vite. E l’assessore esplorò le case, lesse le targhette dei campanelli, guardò chi entrava e chi usciva. C’erano alcune delle facce bianche dei suoi concittadini e c’erano mille facce nere. Erano i suoi nuovi concittadini. Quelli che in gran numero abitavano alcune di quelle case addossate alle mura e mille altre tutte intorno. Case che ora si sarebbero fatte in polvere come le vecchie mura e il Castello, se queste donne e questi uomini neri e questi bambini neri che avevano fatto rivivere di urla e risate le vie del vecchio centro non fossero stati lì a difenderle: gli immigrati, i vecchi abitanti che avevano resistito e le vecchie case, appoggiati gli uni agli altri per sostenersi, come le mura medievali e le case di via Delle Muraglie. E l’antenna? L’assessore seguì il filo bianco che dalla torre correva lungo gli spalti delle mura ed entrava nel tetto di tegole di una delle casette. Spiò a una finestra e vide un bambino che guardava un cartone animato alla televisione. Tornò alla macchina e prima di salirvi si voltò ancora una volta verso l’antenna sulla vecchia torre. Passarono alcuni che lo conoscevano e misero in giro la voce che l’assessore era diventato scemo perché l’avevano visto sorridere a un’antenna.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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