Se le contaminazioni non fossero ammesse ci saremmo persi non pochi capolavori, anche in campo musicale. E se Astor Piazzolla non fosse mai esistito, molto probabilmente il tango sarebbe rimasto nella sua nicchia. E io mai avrei goduto dello straordinario ventaglio di passioni che questa musica è capace di scatenare.
Piazzolla (1921-1992) è stato definito l’assassino del tango dai puristi del genere. Invece, a mio avviso, ne è stato il liberatore. Argentino di Mar del Plata, vantava origini italiane. Padre pugliese di Trani, madre toscana della Garfagnana. Nato da una storia di ordinaria emigrazione, Astor spacca Buenos Aires in due, “inquinando” un’istituzione, qualcosa che, da quelle parti, non è solo musica ma un sentimento vitale, qualcosa che investe i sensi, qualcosa che scatena la passione.
Piazzolla se ne fotte dei tradizionalisti. Sente il fascino della sperimentazione, capisce che il jazz è un alleato perfetto e porta il tango a esplorare orizzonti inusuali e fino ad allora sconosciuti, proiettandolo verso un altro pubblico, inserendo nuovi strumenti. Non è più tango? Sarà dunque nuevo tango. E sia.
Ascoltate con attenzione Libertango. Ascoltate l’andamento drammatico e costante, come un amore maledettamente intenso, fatto di sguardi e di corpi che si avvicinano e si allontanano in un crescendo che non trova un epilogo. C’è dentro la passione degli amanti. C’è dentro la voglia di libertà. Volteggiano entrambi, chiedendo inutilmente appagamento.
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