I criminali sino al 18 aprile del 1902 erano difficili da scovare attraverso la lettura delle impronte digitali. Fu la Danimarca ad introdurre l’utilizzo delle impronte per l’identificazione di chi aveva commesso un delitto. I gialli e i thriller da quel giorno furono completamente diversi e i casi più complessi. Scovare l’assassino attraverso le impronte era un grande passo avanti nei confronti, soprattutto, degli innocenti che sino a quel giorno non godevano di troppo garantismo. Le impronte sono divenute un classico in molti libri che abbiamo letto e hanno creato il successo di molti detective, marescialli, ispettori, giudici. In carcere le impronte continuano ad essere prese seppure in maniera elettronica. Oggi, infatti, esiste il lettore ottico ma quando sono entrato a lavorare, nel 1983 e sino ad oltre gli anni 2000, c’era il buon matricolista che prendeva le dita sia della mano destra che sinistra del detenuto e le intingeva nel tampone di inchiostro nero per poi lasciare le famose impronte nel cartoncino con le foto segnaletiche del soggetto arrestato o trasferito da altro istituto. Ho sempre vissuto quei momenti con un certo pudore e solitamente non entravo durante l’operazione in quanto la ritenevo molto “intima” e un po’ priva di dignità: mettere le proprie impronte su un cartoncino era come denudarsi e non ho mai compreso perché, una volta ottenute da un istituto la raccolta delle impronte, dovesse ripetersi per ogni trasferimento. Nelle mie esperienze romanzesche non ho mai utilizzato le impronte digitali per scovare gli assassini. E’ un mio limite, lo so ed un limite tutto sommato minimalista. Mica sono Simenon o Montalban e neppure Agata Christie. Le impronte digitali mi ricordano sempre il carcere e hanno poco a che fare con la scoperta dei colpevoli, anche perché in questo caso le impronte non si lasciano per errore ma per costrizione. E non è la stessa cosa.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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