Penso che “Il giudice” di Mario Lubino che la Compagnia Teatro Sassari rappresenterà per tre giorni consecutivi al Teatro Comunale Astra a partire dalla prima di venerdì, segnerà una svolta nel teatro sassarese e in quello sardo. E a questa innovativa proposta si aggiunge un elemento che, spesso marginale in altri modi di fare teatro, diventa in questo caso centrale: le scenografie di Igino Panzino (nella foto in alto, durante le prove) , uno dei più significativi rappresentanti del panorama artistico sardo. Dico “teatro sassarese” per intendere teatro prodotto in questa città, dato che, se ne parliamo sia in termini di reali stilemi drammaturgici sia riferendoci ai diffusi luoghi comuni in merito, questa commedia rappresenta una decisa “rottura nella continuità”. Il quale è un ossimoro difficile da spiegare sino a quando non si conoscerà questa coraggiosa fusione tra lo spirito classico del genere e il dramma dell’assurdo coniugato in una delle sue più riuscite espressioni, cioè l’interpretazione della giustizia intesa come elemento astratto, pura esecutrice formale del suo ruolo alto e invisibile ed estranea a ogni esigenza sociale e individuale .
“Il giudice”, con la regia dell’autore, che anche interpreta la parte dell’imputato, è la storia di un uomo che assiste a un omicidio del quale viene accusato pur essendo palesemente impossibile la sua colpevolezza. Quando il colpevole si costituisce, il magistrato si rifiuta di ammettere l’errore, in parte per difendere la propria immagine ma soprattutto perché non venga gettato discredito sulla Giustizia. In questo trova la complicità della moglie dell’imputato, sino a un finale tragico e inaspettato che corona il senso grottesco della commedia. Si tratta sostanzialmente di un incubo ricorrente nell’inconscio collettivo- cioè il timore di trovarsi ingiustamente accusati – che in quest’opera dalla dimensione onirica si riversa nella realtà utilizzando gli strumenti tipici dell’assurdo da Ionesco a Kafka, cioè i dialoghi serrati e spesso privi di senso che a volte suscitano il sorriso o addirittura la risata pur nel dramma vissuto dai personaggi, strumenti coniugati, in più parti, a quelli del teatro tradizionale sassarese, cioè la battuta fulminante e il sarcasmo rivolto anche contro di sé.
Dicevo di Panzino, uno dei rarissimi artisti sardi in grado di unire alla sua concezione dell’estetica quella del più generale ruolo pedagogico che un intellettuale deve mantenere. Scultore, pittore e dunque raffinatissimo ricercatore, Panzino attribuisce una grande importanza a questa sua prima “commessa” nel mondo del teatro, se si eccettua una scenografia “meno importante” di cinquant’anni fa per un’operetta con la regia di Giampiero Cubeddu.La decisione di Mario Lubino e di Teatro Sassari di puntare sull’arte locale per portarla in palcoscenico, soprattutto nell’ottica della gestione del nuovo teatro comunale e quindi pubblico, ha suscitato l’interesse intellettuale dell’artista:
“Anche se questo testo è tutt’altro che semplicemente e banalmente dialettale – dice – mi ha stimolato il dialogo tra l’uso di una lingua quotidiana, pur nei suoi contenuti drammatici, e il linguaggio cosmopolita del minimalismo che ho usato nelle strutture primarie della scenografia, che io intendo non soltanto come arredo scenico ma come forma alta di arte”.
Panzino spiega: “Ho voluto rappresentare il concetto onirico e insieme concreto di prigione così come mi è stato ispirato dal contenuto paradossale del testo. Per questo ho evidenziato la soluzione plastica con gli inserti rossi che richiamano la violenza”.
In effetti la violenza e le sbarre, in questo modernissima scenografia, non sono nascoste dietro i simbolismi cervellotici di certi scenografi che restano oscuri al pubbico, ma evidenziati in maniera comprensibile pur se non banalmente rappresentativa: “Ho asciugato la scena dalle decorazioni eccessive – spiega l’artista – ma lasciando intatto l’impatto visivo”.
E a proposito della suo nome nel cartellone, commenta:
“E’ molto importante il fatto che il mondo del teatro ricorra a quello dell’arte locale. Credo sia la prima volta che nella nostra città viene richiesto a un artista un contributo organico. Mi hanno dato libertà assoluta e ho cercato di usarla nel rispetto del dramma. Speriamo che questa prima volta non sia anche l’ultima per un simile esperimento”.
La commedia in due atti è interpretata da Mario Lubino, Alessandra Spiga, Alberto Lubino, Michelangelo Ghisu, Pasquale Poddighe e Paolo Colorito. Le luci sono di Toni Grandi.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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