Si fa un gran parlare di “fake news”, ovvero di notizie appositamente false utilizzate per denigrare avversari politici o bersagli che non fanno parte del recinto del proprio condominio (faccio notare che il mondo è leggermente più grande di quel che pensa, per esempio, Salvini). Molti di noi, tra l’altro, ricordano i fasti passati, di quando la politica era cosa “seria”, i giornali raccontavano storie vere e la televisione, perbacco, era la televisione. Se l’aria che tira in questi giorni è davvero irrespirabile quella che tirava negli anni della “meglio gioventù” non era da meno. Gli episodi scandalistici, il voler buttare il mostro in prima pagina faceva parte di strategie massmediatiche anche a quei tempi dove facebook e twitter non esistevano. Ho letto in questi giorni (e ve lo consiglio caldamente) il libro di Enrico Deaglio “Patria” che prova a mettere ordine dentro lei storie e i fatti accaduti in Italia dal 1968 al 1977. Leggerlo mi ha riportato alla mia adolescenza e ha posto l’accento su alcuni particolari che, per esempio, se rimaniamo alle storie che si leggono su Wikipedia, non riusciamo a cogliere. Quando, nel 1969 venne arrestato Pietro Valpreda, le foto apparvero in tutti i quotidiani, nessuno escluso. Fu dipinto, da subito – e in quanto anarchico – drogato, mostro, fanatico di bombe, seguace di Satana; fu appellato come Lucifero, Belzebù, belva umana. Però, si chiede Deaglio, nessuno spiega perché era scritturato per ballare – se non fosse stato arrestato – la domenica successiva per Canzonissima. Sappiamo tutti com’è andata a finire la storia: Valpreda non c’entrava nulla con la strage di piazza Fontana a Milano, quella che inaugurò una chiara strategia della tensione gestita dai servizi segreti e da frange neo-fasciste. Però quella era l’aria che tirava nel 1969. Siamo partiti da lontano e continuiamo a ripetere gli stessi errori. Siamo un paese scontato e “vecchio”. Buona campagna elettorale.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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