Non sembra vero, eppure io sono certo che c’è stata un’epoca remota in cui le automobili non avevano l’aria condizionata, o quelle che l’avevano erano poche, costose berline o fuoriserie che solo i ricchi ricchi si potevano permettere.
Le strade, in quel tempo grigio e lontano, erano zeppe di Fiat 127, di Alfasud, di Simca, di A 112 Abarth, di 124 special, di Renault 4 e Dyane 6 e tutte, da aprile in poi, avevano i finestrini spalancati, tirati giù in un vorticoso mulinare di braccia, perché anche gli alzacristalli elettrici erano una rarità. Eppure in auto si andava lo stesso, senza esitazione ci si avventurava in lunghi viaggi anche in torride giornate estive.
È esistito, quel mondo senza condizionamento, ne ho avuto la conferma dopo una piccola indagine in redazione: Nardo Marino ha avuto la prima auto con climatizzatore nel 2003, Fiorenzo Caterini addirittura nel 2010, mentre Giampaolo Cassitta si dava delle arie già nel 1991, su una Renault 18 turbo diesel dotata del prezioso accessorio. Ma prima di questa innovazione c’è stata tutta una storia di camicie incollate alla pelle da una macchia di sudore estesa quanto la schiena. Anzi, a dirla tutta ci sono passato io stesso: per dieci anni sono stato un uomo della sicurezza a Porto Cervo e mai ho guidato un’auto di servizio dotata di condizionatore.
Oggi si sigilla l’abitacolo, si pigia un bottone ed ecco che il tempo si ferma ad una mezza stagione sempre uguale, ad una temperatura neutra, una primavera perenne riprodotta artificialmente in quei pochi metri cubi della cabina da viaggio.
Certo che c’è stato, quel tempo senza condizionatori che mio figlio non ha conosciuto e forse non crede possiibile. Io mi ricordo di certe tremende trasferte domenicali a Cagliari sulla Fiat 124 special verde bottiglia di famiglia, attraversando la Sardegna per una partita di calcio o l’immancabile visita annuale alla Fiera campionaria, da cui si tornava tuttavia sempre a mani vuote. Era primavera inoltrata, faceva già caldo e babbo, alla guida, indossava una vezzosa camicia di cotone a bande verticali celesti, calata sopra una canottiera a costine che s’intravedeva appena sotto lo strato superiore di tessuto: l’accoppiamento di quei due indumenti arginava le sudate che nelle tre ore di viaggio sarebbero altrimenti state torrenziali. Dai finestrini spalancati entrava aria bollente, la radio la si regolava col volume al massimo perché avesse ragione del frastuono del millequattro a benzina e della loquacità di mia mamma, che parlava sempre: babbo avrebbe avuto mille ragioni per sudare, eppure non sudava.
L’abbigliamento, in quella preistoria automobilistica, non era un esercizio di stile, ma lo si sceglieva in base alle condizioni di viaggio. Perché il clima, dentro l’abitacolo, era esattamente lo stesso del mondo esterno.
A dirla tutta babbo ha fatto il camionista per quarant’anni e per quarant’anni ha viaggiato senza aria condizionata, con ogni possibile clima. Guidava col cappotto in inverno e la canottiera in estate, adottando naturalmente i suoi accorgimenti per difendersi dai picchi di calore.
C’era sempre un giorno, nel mese di luglio, in cui mi svegliava alle tre di notte e mi caricava sul camion per andare a Lula. Conosceva due fratelli cavatori che estraevano una pietra scura dalle sfumature cangianti, molto richiesta per i rivestimenti esterni nelle ville della Costa Smeralda. Noi ci presentavamo là alle cinque del mattino, uno dei due fratelli caricava con una pala meccanica il cassone, babbo allungava il compenso e poi ci rimettevano in viaggio alle prime luci del giorno e a temperature ancora accettabili. A Murta Maria prendevamo il cappuccino al bar e una volta scaricata la pietra al cantiere si tornava a casa. Coi colori pastello del primo mattino e, soprattutto, accarezzati da quel fresco liberato dalla notte appena inghiottita dal sole.
Oggi per metterci alla guida di un’auto senza aria condizionata, quando fa davvero caldo, dobbiamo proprio esserci costretti, altrimenti sembrerebbe un azzardo da folli. Eppure per decenni ci siamo presi il tempo che capitava senza protestare. E tutti siamo sopravvissuti. Mia zia Candida possiede ancora oggi una Fiat Uno del 1993, senza aria condizionata né alzavetri elettrici, per lavoro ha viaggiato tanto, quasi sempre in estate, eppure è arrivata in ottima forma ai 76 anni e la sua Uno modello base continua gagliarda a macinare chilometri.
Tutte queste parole per dire che forse non abbiamo più la cognizione esatta di quel che è davvero indispensabile. Magari mi sbaglio, ma credo abbia molto a che fare con la nostra capacità di sopportare, di tollerare, di adattarci, di prendere il tempo per quel che è. Si può stare sempre meglio – che fai? Te ne privi? – e pazienza se l’aria condizionata significa anche raffreddori, faringiti e broncopolmoniti: l’importante è non soffrire il caldo.
Ripeto, magari mi sbaglio, ma io credo che una volta il caldo dell’estate fosse considerato fatto naturale e come fatto naturale lo si accettasse, senza spiegazioni cervellotiche sulle drammatiche conseguenze dell’effetto serra e del buco dell’ozono. Tra parentesi: ci sarà anche il riscaldamento globale, per carità, ma la temperatura più alta rilevata sul pianeta terra risale al luglio del 1913, quando in California la colonnina di mercurio toccò i 57 gradi: più di un secolo fa. Era estate e faceva caldo pure allora, quando non c’erano i condizionatori. E sapevamo come proteggerci dal calore anche senza i preziosi consigli dell’inviato di Studio aperto, che da giugno a settembre ci raccomanda di indossare abiti chiari, bere tanta acqua, evitare i cibi pesanti e, soprattutto, di non uscire nelle ore più assolate. Sapevamo che l’estate arriva ogni anno, non è un colpo di scena imprevisto, una disgrazia da fronteggiare restando barricati in casa.
In effetti poi mio babbo al fascino dell’aria condizionata si arrese. Le temperature asfissianti di luglio e agosto del 1993 gli tolsero il sonno e, ai primi tepori dell’anno seguente, diede alla famiglia il solenne annuncio: “Abannu no mi futti!”. A giugno del 1994 tutte le camere da letto erano dotate di condizionatore con regolamentare telecomando. Piovve per tutta l’estate.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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