Vedo gente agitarsi per il malaugurio indirizzato dall’arcivescovo Giuseppe Mani (titolare di sito internet all’indirizzo www.arcivescovomani.it) ad un cronista de L’Unione Sarda. Naturale: sperare che i giornalisti sgraditi vadano “a morire ammazzati” indica natura ed istinti di un uomo. Non capisco, però, se ci si scandalizzi per la violenza contenuta in queste parole o, piuttosto, perché uscite dalla bocca di un alto gerarca della Chiesa. Ma davvero esiste ancora la convinzione che parroci, vescovi, cardinali e Papi non siano soggetti alle tempeste d’ira di noialtri, davvero si crede che loro sappiano resistere al turpiloquio e alla bestemmia? Racconto un fatto capitato ad un amico. Anni settanta, preso il diploma il mio amico Santo ed il fratello partono dalla Gallura e si trasferiscono a Roma per iscriversi all’Università. Sono spaesati, spiazzati dalla distanza tra il paesello della Sardegna e la magnificenza della Città Eterna. Tra l’altro non trovano casa e sono costretti a vivere in una scomoda pensione, lontanissima dalla Facoltà: ogni giorno chilometri a piedi e levatacce per poter assistere alle lezioni. Un prete amico di famiglia si offre di aiutarli e passa loro il numero del segretario di un vescovo di Roma: “L’ho già avvertito, parlate con lui: vi troverà una sistemazione più comoda”. Santo (convinto di avere nel nome un alleato) chiama il numero del vescovo per chiedere un appuntamento. A chi gli risponde rivolge tutte le possibili formule di gratitudine riconoscenza. Il segretario lo mette in attesa, dopo qualche secondo lo liquida: “Sua Eccellenza è impegnato in una importante riunione, provate domani”. Ci riprova l’indomani e l’indomani ancora. Manco per niente, il segretario li mette in attesa e poi li mura. Ma i due giovani universitari non demordono e ci riprovano per una settimana. Sinché, all’ennesimo tentativo, il diavolo ci mette la coda: il segretario chiede ai richiedenti alloggio il solito momento di pazienza, ma sbaglia (o forse no) nel metterli in attesa e lascia la comunicazione aperta. Santo ed il fratello sentono lo scambio tra i due. Segretario: “Eccellenza, ci sono i due soliti fratelli sardi che vojono parlà con lei. Che je dico?” Vescovo: “DIGLI CHE MI HANNO ROTTO I COGLIONIIIIIIIII, digli che non chiamino piùùùùùù. Mi HANNO ROTTO I COGLIONIIIIII!” Tenete conto che si parla di quarant’anni fa, quando una certa libertà di linguaggio suscitata comune riprovazione.
Il segretario afferra la cornetta e con tono formale spiega che “il vescovo non può riceverli”. Prima di chiudere, chiede però se abbiano qualcosa da lasciare detto. Santo ci pensa un momento. “Sì, dica a sua Eccellenza di ANDARE AFFANCULO”. Click.
Ecco perché a me l’uscita di Mani ha causato sì disgusto, ma non sorpresa. Disgusto per le parole in sé, nessuna sorpresa perché a pronunciarle sia stato un uomo di Chiesa. Un uomo, come tutti gli altri.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo e-book "Cosa conta".
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