Oggi compare per la prima volta, su Sardegnablogger, la rubrica “l’antropologo in bicicletta”. Con queste poche parole provo a spiegarne il senso. Ogni venerdì, ore 09.30. Tra i pensieri che possono redimere il mondo, salvarlo dalle tenebre della barbarie, c’è quello dell’antropologo che gironzola in bicicletta. Il pensiero antropologico, infatti, quando non è costretto dalle mura e dai labirinti dell’ascesa sociale, insomma quando è puro, libero e semplice, è molto profondo, ed è in grado di articolare la complessità delle cose. Il pensiero oggi è sempre più semplice, scarnificato, radicato su opposizioni binarie. Poi c’è il pensare comodo, dentro questo essenzialismo: le cose buone da pensare, diceva Levi Strauss. La realtà si deforma in messaggio ripetuto ed essenziale, a volte persino sciocco e illogico. Stupidità e assurdità non le ferma neppure l’istruzione e l’intelligenza, se si è deciso di condividerlo come convenzione sociale. Il luogo comune diventa così la casa di tutti, un rifugio sicuro dove il pensiero può tranquillamente restare fuori a dormire sonni profondi, profondissimi. Lo stereotipo assurge a “langue”, come la definiva il linguista De Saussure: se non ti adegui a questi meccanismi del pensiero, resti escluso dal discorso sociale. Questi, tuttavia, sono tempi tristi davvero. A distanza di qualche decennio, di sole due generazioni dalla tragica seconda guerra mondiale, si sta spegnendo nuovamente la luce. Una umanità, al netto della retorica dell’uomo bianco cattivo, che specie da queste parti ha deviato, troppe volte, nel corso della sua storia, verso le spirale tenebrosa del genocidio, non riconosce più quella barbarie, e pare invocarla di nuovo a gran voce. Qua e là, la profezia di Primo Levi, morto suicida per non rivivere la disumanità dei campi di sterminio, sembra tornare. Gente, tanta, troppa e, soprattutto, insospettabile, che invoca bombe e lanciafiamme, anche per donne e bambini, purché siano, in qualche modo, “diversi”. La diversità, quella che è in realtà una ricchezza, e che ha consentito il progresso dell’umanità, sta tornando a diventare una colpa “tout court”. Una colpa meritevole del rogo e della distruzione. Il periodo storico in cui questo triste e pernicioso pensiero si è affacciato nella mente degli uomini, otturandogli l’aorta e la giugulare, è stato nel periodo delle due guerre mondiali. Non sono un pessimista, nient’affatto. Constato. Con la bicicletta, mezzo innocuo e pacifico, l’antropologo segue la strada come si segue un pensiero: curve, sterrati, dossi, salite e discese. Si riempie di aria fresca, ascolta il suono delle api e lo stormire delle fronde. Punta la mente all’orizzonte. Talvolta i rilievi impediscono allo sguardo di lanciarsi nell’infinito di un deserto infuocato o di un mare increspato, offrendo un confine auspicato. Anche lo sguardo si deve posare da qualche parte, si deve riposare. Ogni tanto getta un’occhiata in alto, che ci sono le nuvole. Un pensiero salverà il mondo, forse. O comunque ci aiuterà a salvare ciascuno di noi dal triste e nero gorgo delle barbarie. Ogni venerdì, alle 9.30, su Sardegnablogger.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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