“Ma l’animale che mi porto dentro Non mi fa vivere felice mai Si prende tutto Anche il caffè Mi rende schiavo delle mie passioni”.
Ogni tanto mi mandano a fare delle commissioni, come fossi un garzone di bottega: pagare delle bollette, fare la spesa, prelevare al bancomat per l’anziano parente che non ha mai imparato a farsi consegnare i soldi da quella macchina simile ad un juke box. L’altro giorno mi hanno chiesto di andare a comprare un piccolo oggetto dal commerciante più avido del paese. Lo detesto. Da quando mi raccontarono di quella volta che costrinse un vecchio a tornare a casa per pochi spiccioli, i pochi spiccioli che gli mancavano dalle tasche per saldare interamente il conto. “Vada e ce li porti, poi potrà avere la sua merce”. Ho arricciato il naso, ma era un’urgenza e non potevo esimermi. “Quanto costa?”, ho chiesto prima di uscire per la commissione. “Un euro e sessantanove centesimi”.
L’animale che ho dentro in certi giorni è più famelico. Un euro e sessantanove centesimi. Ho aperto il portafogli, dentro avevo solo una banconota da cinquanta. Sono partito a piedi verso il bancone del commerciante avido, anche di sorrisi, mai che gli abbia visto i denti. C’era fila e la gente ha continuato ad affluire nel negozio, anche dopo il mio ingresso. Io strofinavo la mia banconota da cinquanta. Quando è venuto il mio turno e ho chiesto quel che volevo, lui muto ha impacchettato il mio acquisto e mi ha allungato sul piano lucido lo scontrino. Un euro e sessantanove centesimi. Ti senti potente quando sei in grado di prevedere gli eventi e tutto quel che accade accade esattamente come lo avevi immaginato.
Ho tirato fuori la banconota da cinquanta. Lui ha scosso la testa, dietro le lenti coronate da una montatura argentata ho colto l’incattivirsi dello sguardo. Non aveva cambio. Però non mi ha chiesto se avessi monete, me lo ha fatto capire sgranando gli occhi e continuando a scuotere il cranio. Sapevo che mai mi avrebbe detto “me li passerà, non si proccupi”. Io, senza battere ciglio, stavo immobile davanti a lui, con la mia cinquanta euro sospesa tra indice e pollice. Gli si è increspato il labbro, gli ho visto i denti, ha sbuffato mentre chiedeva gli spiccioli ai commessi delle casse accanto, che però non potevano dargli retta più di tanto perché impegnati a servire altri clienti.
Intanto la gente rumoreggiava, spazientita dall’attesa. La fila dietro di me si era fatta lunga fino al portone. E io allargavo le braccia, mostrando la banconota, facendo pesare il disservizio, “se non hanno resto non è colpa mia”. Sarà durato in tutto cinque minuti, ma me li sono gustati secondo per secondo. Lui che non voleva darla vinta, io che lo incalzavo senza staccargli gli occhi di dosso: “Sei tu che mi devi dei soldi, non io a te. Facciamo che stavolta l’avido sono io”. Non l’ho detto, ma lui l’ha capito lo stesso. Ho pensato che in me si fosse incarnato l’angelo vendicatore di quel vecchio, il vecchio costretto a tornare a casa per pochi centesimi. È scomparso nel retro del negozio, poi è tornato con un malloppo di monete in pugno e le ha lasciate scivolare sul banco, sparse sui due pezzi da venti: il mio resto. Poi mi ha congedato con un’ultima occhiataccia ed un cenno stizzito del capo. Qualcuno dirà che queste sono soddisfazioni da frustrato. Però era da tanto che volevo fargli un dispetto e, per quel giorno, l’animale che ho dentro l’ho sfamato così.
pubblicato il 16/2/2016
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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