C’è quel sorriso antico, normale, vero. Un sorriso che ha atteso molti anni che qualcuno gli restituisse la genuinità negata. Quel sorriso di un ragazzo andato per strade sbagliate e mai ricondotto verso luoghi meno feroci. Stefano Cucchi sorride. Finalmente. Ha capito di essere arrivato ad una fermata definitiva dove la verità – certo, quella giudiziaria, ma pur sempre una solida verità – ha vergato la parola fine ad una vicenda incredibile, indicibile e sfacciatamente vigliacca. Lo Stato si è nascosto, per anni, ha provato ad intiepidire un clima acerbo e inacidito; ha provato, con i suoi uomini, di miscelare il falso con la vergogna, di raccontare altre storie, di sporcare altri pezzi dello Stato sperando che tutto si “aggiustasse” come nelle migliori tradizioni di repubbliche appiattite sulle narrazioni di comodo. Non è accaduto e lo Stato ha vinto con una sentenza storica, che restituisce dignità ad un cittadino italiano colpito, malmenato e ucciso all’interno di uffici statali, quegli uffici che rappresentano il baluardo della sicurezza per i cittadini. Lo Stato ha perso perché una condanna a due carabinieri è sempre una sconfitta e tutto questo spettacolo non ci fa onore. Questa sentenza è, direbbe Totò, una “livella”: tutti possiamo essere giudicati e tutti possiamo essere condannati per dei reati che possiamo commettere. Anche se portiamo una divisa, anche se proviamo a dimostrare di essere “padri di famiglia” (in questo caso, è un’aggravante) anche se qualcuno può pensare che si tratta di un’esagerazione (in fondo era “solo” un tossicodipendente). Stefano era un ragazzo come tanti, con troppe salite da affrontare, con qualche curva di troppo. L’esperienza della tossicodipendenza, una famiglia piccolo borghese, come tante. Una storia italiana, come tante. Stefano aveva il sacrosanto dovere di pagare per i reati commessi ma aveva anche il sacrosanto diritto di essere protetto da uno Stato democratico, garantista, pronto a “preoccuparsi” di lui e di tanti come lui da restituire al recinto sociale. Quel sorriso antico, quasi sbilenco, racconta la possibilità di potercela fare, di dovercela fare. A nessuno, in uno Stato di diritto si cerca l’anima a forza di botte. Stefano l’ha sempre saputo e gli è rimasto, per anni, quel sorriso pieno di certezze. Ora lo sappiamo anche noi. E non era scontato.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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