I colori di queste olimpiadi sono come le musiche di “anima latina” di Lucio Battisti. Briose, rotonde, ruzzolanti, gonfie di tetti di lamiera, quelle delle favelas di Rio, veloci come il Dio Bolt e il gusto di arrivare primo per essere leggenda, pasticciate come le discese dei presepi vivi quando giunge sera, precise come un tuffo della Cagnotto o le lacrime di tanti, gli errori di moltissimi e le gioie di chi comunque ci ha provato, riprovato e, molto probabilmente, ci riproverà. Queste olimpiadi hanno unito musica e miseria e sono diventate una cosa sola. Quella gioia che traspare negli occhi di chi guarda il mare dalle parti di Copacabana, delle immense bracciate di Rachele Bruni, di quella faccia che ricorda un bambino malvestito di Rio e che, invece, è quella di un bravissimo judoka che va a vincere l’oro nei 66 Kg: Fabio Basile e i colori del sud, della gente che cammina piano e che gioca di scherma, nuota, della sfortuna all’ultima discesa di Nibali, dell’incredibile secondo posto nel beach volley dei due ragazzi italiani. Queste olimpiadi che corrono sulle spiagge atlantiche inseguendo il calcio di un pallone ormai sbiadito e dimenticato, Queste olimpiadi che inseguiamo ogni quattro anni che sembrano sempre uguali e sono sempre magnificamente diverse dalle altre; quella voglia incontenibile di correre e di volare, di spremere tutti i muscoli a ritmo di samba, quella musica vera, dolce e intensa che solo da queste parti sanno suonare. Questo continente figlio di mille contraddizioni, intenso nella sua “saudade”, intrecciato di molte anime latine che fraseggiano con la tristezza e l’ilarità. Questa voglia di sfidarci e di esserci, questo gioco che poi è il senso della vita, della passione. Queste olimpiadi che volgono ormai al termine e regalano ai nostri occhi quel ruzzolare stanco di musica e di gesti. Ci ritroveremo tra quattro anni, a Tokio a riprovarci, a rimettere in sesto tutti i muscoli della passione e ritorneremo, per qualche giorno almeno, un po’ bambini, quando si continuava sino al tramonto inoltrato a giocare con un pallone improbabile in mezzo alla strada. Solo ed esclusivamente per il fantastico gusto di farlo.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
Mi dispiace, ma io so’ io e voi non siete un…. (di Giampaolo Cassitta)
Cutolo e l’Asinara (di Giampaolo Cassitta)
Mi ami? Fammi un riassunto. (di Giampaolo Cassitta)
Cari radical-chic guardate Sanremo e non fate finta di leggere Joyce. (di Giampaolo Cassitta)
Sanremo, Italia.
La mia ora di libertà (di Giampaolo Cassitta)
A vent’anni si è stupidi davvero. A 80 no. (di giampaolo Cassitta)
La musica ai tempi del corona virus: innocenti evasioni per l’anno che verrà. (di Giampaolo Cassitta)
Capri d’agosto (di Roberta Pietrasanta)
Il caporalato, il caporale e i protettori (di Mimmia Fresu)
Marshmallow alla dopamina (di Rossella Dettori)
377 paesi vivibili (di Roberto Virdis)
Per i capelli che portiam (di Mimmia Fresu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 17.663 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design