Amico razzista di Sassari, non stare con i fascisti, non ti mettere con quella gente. Ti dico “amico” perché non lo sai di essere razzista. Sei uno di quelli, e siete tanti, che quando premettono quell’irritante “io non sono razzista ma…”, ci credono davvero che nel loro temperamento non ci sia niente contro gli alieni ma che questa, insomma, sia una situazione di emergenza perché ci rubano il lavoro e ci inquinano il Corso basso con odori che non sono più quelli delle melanzane fritte e della graticola di zerri. Ne parleremo un’altra volta di queste paure che per me sono fondate sulle nuvole. Perché ora c’è un’altra emergenza, quella delle persone che ti stanno strumentalizzando. Ti conosco, so che sei in buona fede. So che le tue radici familiari e personali affondano in una città e in un quartiere dove crescere davvero razzisti è impossibile. Lo so perché veniamo dallo stesso mondo e anche se poi abbiamo fatto vite diverse, l’ambiente che ci ha formato negli anni cruciali dell’infanzia è lo stesso. Quello dove convivevano ricchi e poveri nella stessa cadente palazzina o nello stesso angolo tra un vicolo e una via, dove puttane e bigotte andavano alla stessa messa, dove uno con le creste di gallo sedeva allo stesso bar del medico che poco prima gli aveva prescritto la pomata. Era la Sassari dove il sipario ipocrita della cionfra nascondeva differenze che invece ci sono, ma anche dove il grado di tolleranza era straordinariamente alto perché convivere senza ghetti fisici e di altro genere faceva parte della nostra esistenza. Ora cerco di capire le motivazioni che ti inducono a partecipare a queste manifestazioni di intolleranza. Ci leggo soprattutto la nostalgia per un mondo che hai paura che scompaia. E’ comprensibile. Ma quelli che ti si affiancano con i giubbotti neri, i jeans attillati e certi occhi da iena che ti dicono se non fosse per i carabinieri a quest’ora ti avrei già azzannato la testa, quelli lasciali perdere, ti prego. Quelli non scherzano, non sono quattro coglioni innocui che parlano di un passato che neppure conoscono per averlo almeno studiato bene. Quelli sono fascisti esattamente come quelli del ’22 perché come allora sanno di avere di fronte uno Stato debole e un’opinione pubblica confusa e zeppa di paure da sfruttare. In quegli anni prima della Marcia su Roma, le poche volte che lo Stato o gli altri partiti hanno mostrato di volerli affrontare, sono fuggiti come ratti. E sono certo che ora accadrebbe lo stesso. Ma episodi come quelli di Como dimostrano che hanno ripreso quell’antica sicurezza. Tra un po’ non andranno più di notte a lordare le sinagoghe o a minacciare in forma anonima i loro nemici, lo faranno alla luce del sole. Allora si accattivavano l’opinione pubblica trasportando nei loro camion (gli stessi delle “spedizioni punitive”) i cittadini rimasti a piedi per lo sciopero dei tranvieri o passando la scopa nelle vie del centro quando c’era lo sciopero degli spazzini e con altre cose così. E poi quando erano sicuri del consenso bastonavano i tranvieri e gli spazzini. Adesso si affiancano alle tue manifestazioni contro gli immigrati. E si impossessano di una cosa che nella bocca di questa gente è una bestemmia, la patria. Ti prego, amico mio razzista, non dare retta a quelli che usano la tua confusione, non credere a Salvini e alla Meloni che condannano certi giovanili e spavaldi eccessi ma ti assicurano che la violenza fascista non esiste, che i “problemi sono altri”. Ricordati di quelli che dicevano che la mafia non esiste. Il meccanismo è sempre lo stesso: coprire il seme piantato perché possa germogliare in santa pace. Lo so, caro amico razzista di Sassari, che hai paura di questo mondo che cambia, qualche volta ce l’ho anch’io, ma non permettere ai fascisti una cosa che sicuramente faranno: cambiarlo in peggio.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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