Il 27 febbraio del 1933 Antonio Gramsci per la prima volta mise per iscritto la propria sofferenza. Lo fece in una lettera dal carcere alla cognata Tatiana Schucht, la sorella di sua moglie Giulia. Una lettera criptica, scritta come le altre per superare il vaglio della censura, eppure trasudante tutta l’umanità afflitta che quel debole corpo e quel formidabile cervello cominciavano a manifestare dopo anni di torture. La puntata di oggi della Macchina del Tempo riguarda allora la sofferenza di Gramsci e quindi tutto il suo eroismo; e anche della straordinaria attualità del più grande pensatore del Novecento italiano. Se per celebrare Gramsci si fosse davvero scelta la data del suo primo lamento, non sarebbe stata una cattiva idea. C’è in ogni grande simbologia laica o religiosa il momento del cedimento alla sofferenza, quello in cui Cristo sulla croce dice: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. E’ l’introduzione all’epilogo della grande vicenda umana dell’eroe, quella che si conclude quando “tutto si è compiuto”. E poi comincia l’immortalità. Gramsci ha sofferto sin dalla nascita eppure mai si è piegato in alcuna delle sue fasi esistenziali. Il suo corpo e la sua malattia lo hanno condannato alla sofferenza fisica. Si pensi al racconto della trave a cui si appendeva per raddrizzare la schiena; alla denutrizione e al freddo patiti, ha avuto il suo primo cappotto quasi all’età di trent’anni; si pensi anche all’ultimo periodo di prigionia e di vita, ai tormentati rapporti con i suoi compagni e con il partito che aveva fondato; alla persecuzione fascista che con la libertà gli tolse anche la possibilità di unirsi a sua moglie dopo pochi anni di matrimonio. E dei due figli uno non lo conobbe neppure. Eppure in questo calvario fu un grande capo politico e un immenso pensatore. Fu l’unico comunista del Novecento che varcò i confini stessi del comunismo conservandone ogni aspetto dell’impianto filosofico, metodologico e politico ma introducendolo oltre la soglia della modernità. La sua concezione della storia intesa non come un ineluttabile e progressivo divenire ma come una vicenda in cui ogni passo e ogni conquista non sono definitivi, è fondamentale e lo sarà per sempre se si vogliano capire le vicende del mondo e della vita di ciascuno di noi. E’ sufficiente riflettere su come questo fisico debilitato e questo spirito vessato da ogni tipo di persecuzione abbiano prodotto analisi geniali quale quella sul rapporto tra potere e cultura. Tra le mura della sua cella, mentre le sofferenze lo consumavano e le delusioni si succedevano, Gramsci perfezionò l’immagine già da tempo intuita di un potere mondiale basato non soltanto sulla coercizione ma sull’egemonia culturale, esercitata attraverso il linguaggio e ogni altro strumento in suo possesso: dai giornali, alle scuole e persino all’architettura. Ciò che ora per noi è un’analisi acquisita, negli anni Venti e Trenta dell’Italia fascista era una formidabile impresa speculativa. Chi altri nella storia del pensiero ha rappresentato come Gramsci questo intreccio tra sofferenza, coerenza e genio? Una sofferenza che dura, se si pensa a chi oggi attribuisce a quella fase della sua vita un significato di allontanamento dal comunismo, quasi che Gramsci prima di morire avesse detto “ho sbagliato tutto” e rinnegato se stesso. Non sono uno studioso di Gramsci, ma non ci credo. Per me Gramsci è stato comunista sino all’ultimo, di un comunismo moderno, attuale, talmente vivo che ora, a chi odia il vero comunismo, quello della giustizia e della libertà dei popoli e delle coscienze, fa più paura di certi fantasmi rosé spacciati per ideologia. Forse per questo si tenta di consegnare il compagno Gramsci a una storia che non esiste. E quindi, anche se a molti potrà apparire azzardato, per me quel criptico e umanissimo lamento della lettera a Tatiana del 27 febbraio 1933 rappresenta la grandezza di Antonio Gramsci.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
3 ottobre 2013: la strage di Lampedusa (di Giampaolo Cassitta)
Il prete e il povero (di Cosimo Filigheddu)
I giornali di oggi (di Cosimo Filigheddu)
La mia ora di libertà (di Giampaolo Cassitta)
A vent’anni si è stupidi davvero. A 80 no. (di giampaolo Cassitta)
La musica ai tempi del corona virus: innocenti evasioni per l’anno che verrà. (di Giampaolo Cassitta)
Guarderò Sanremo. E allora? (di Giampaolo Cassitta)
Quel gran genio di Lucio Battisti (di Giampaolo Cassitta)
Capri d’agosto (di Roberta Pietrasanta)
Il caporalato, il caporale e i protettori (di Mimmia Fresu)
Marshmallow alla dopamina (di Rossella Dettori)
377 paesi vivibili (di Roberto Virdis)
Per i capelli che portiam (di Mimmia Fresu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 17.696 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design