Forse non tutti vestono le magliette rosse e probabilmente questa polemica fa parte di un “Italietta”, ma in molte abitazioni, sui balconi e sui terrazzi, dalle Alpi alla Padania, dall’Adriatico al Tirreno sventola la bandiera della nostra patria ed è la risposta ad un altro tricolore: quello transalpino. Rimangono il bianco e il rosso (non quello delle magliette, per intenderci) ma sparisce il blu e vince, stravince il verde: il cielo non sarà “bleu” sopra lo stadio di Mosca ma terribilmente azzurro. L’Italia è in finale ai campionati del mondo di Russia. Quei campionati che hanno visto cadere Messi, Cristiano Ronaldo, Neymar, che hanno rimandato a casa mestamente Iniesta e i tedeschi, che hanno ingoiato gli dei degli oceani tranne l’Europa. La coppa del mondo appartiene al vecchio continente e a giocarsela per la settima volta sarà l’Italia: quattro mondiali vinti e due finali perse. Ma non con i “bleu”, quelli che per regola storica si incazzano alla vista di Bartali e di Materazzi, quelli che continuano a dire sospirando con gli occhi al cielo: “ah… les itelaiens” ecco, quelli vanno a casa. Con la loro maionese sul pesce mezzo avariato, con il loro profumo per nascondere qualche doccia mancata, quelli che ancora non hanno il bidet nelle loro case. Quelli con i migliori formaggi e i migliori vini ma sappiamo che non è così perché, in fondo, sono solo bollicine. Loro e i ricordi della “grandeur”, di De Gaulle contrapposto a De Gasperi, Jean Paul Belmondo a Marcello Mastorianni, quel voler accentare tutto: Marcellò, Fellinì, Pirlò, Materazzì. Quelli che, in ogni caso, hanno vinto solo un mondiale di calcio e solo a casa loro mentre contro gli operai, mangiaspaghetti e un po’ sbruffoni de “les italiens” hanno perduto prima la finale del 2006 e oggi la semifinale. I bleus rientrano mestamente in terra di Francia, ad osservare una torre che è un pezzo di ferro contro un’arena come il Colosseo che è storia di millenni. Potevano anche vincerla questa strana partita cominciata con una papera di Buffon e un gol di Mbappe. Poi, il buio. Perché loro contavano su Emile Zola ma non poteva bastare stasera nessun j’accuse. Non servivano i filosofi della parole, almeno stasera. Avevano il Zola sbagliato. Perché Gianfranco, quello sardo, diventa l’eroe dei due mondi che prima pareggia con un passaggio bellissimo di Bruno Conti e poi porta l’Italia in vantaggio su assist (meglio, su passage) di un Balotelli operaio e più ispirato del solito. Il terzo gol arriva quasi alla fine con assolo di Pirlo verso quello che è e rimane campione assoluto: Gigi Riva. E’ un boato a San Pietroburgo. 3 a 1. Non sembra neppure Italia Francia ma più poeticamente Cagliari Francia: gli operai contro i monarchi e a volte, almeno nel pallone, la classe operaia va in paradiso a dispetto di Madama la Marchesa. Eccole le bandiere tricolori camminare per le piazze in un tripudio di felicità. Eccolo il paese finalmente riunito e felice. Ecco le magliette rosse abbracciare tutti gli altri colori. Si va in finale e a rosicare, forse, è rimasto soltanto Matteo Renzi e il suo Baggio lasciato da Bearzot in panchina, forse per ll’ultima partita. Andiamo a Mosca a giocarcela, a rivivere quello che è stato Madrid nel 1982 e Berlino del 2006, le ultime due vittorie di un mondiale che quasi tutti ricordano. Scorrono le facce degli eroi, la partita a carte tra Zoff e Pertini, l’urlo di Tardelli, il terzo gol di Altobelli, i rigori con il nuovo urlo di Grosso. Il cielo è tutto azzurro tra Madrid e Berlino. Lo diventerà probabilmente anche a Mosca. Di vincere il campionato del mondo di calcio ne abbiamo davvero bisogno soprattutto per i francesi che si incazzano e perché il Francia Corta è terribilmente più buono dello Champagne. Fidatevi. E, a proposito: lasciate perdere le fois gras e buttatevi su una bella cordula con i piselli servita con un buon bicchiere di Carginano del Sulcis che batte qualsiasi Chote du Rhone 2 a 0. Anzi, 3 a 1. Parola di Gianfrancò Zolà e Gigì Rivà.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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