Noi, figli degli antichi romani ed imparentati con gli Dei dell’Olimpo e di Eupalla ce la giochiamo con un piccolo stato di non più di quattro milioni di abitanti: più o meno mezza Roma. Era una provincia dell’antica capitale e si chiamava Pannonia, poi arrivarono dall’odierna Ucraina i croati che provarono a governare, ma caddero in mano asburgica e si presero l’Istria. La Croazia è, dunque, la nostra avversaria nella finale della Coppa del Mondo. Potevamo finire a giocarcela con gli inglesi e sarebbe stata ben diversa la storia di contrapposizioni che incontrammo per la prima volta nel 1933. Il bilancio è a favore dell’Italia: 10 vittorie nostre, otto inglesi e otto pareggi. Eravamo felici il 14 novembre 1973 quando, grazie ad un gol di Fabio Capello espugnammo, per la prima volta, il suol britannico. Della mitica partita sono state scritte mirabili pagine nel libro “Fantozzi” di Paolo Villaggio, di quella che non è stata non solo una partita di calcio ma un’iperbole di storia ed epica. C’è un’altra partita, quella del 1998, vinta ancora una volta a Wembley con gol di Gianfranco Zola, allora giocatore del Chelsea ed oggi il tamburino sardo, orgoglio della nostra terra, è ancora tra i convocati per questo mondiale e probabilmente sarà schierato negli undici che se la vedranno con i croati. Niente inglesi o brasiliani e neppure francesi divorati in semifinale. Niente epica con la Germania o Argentina ma con una squadra che per la prima volta si affaccia ad una finale mondiale. Con i croati ci giocammo la prima volta nel 1942 in amichevole sbertucciandola al suon di 4 a 0. Poi le cose cambiarono e ci ritrovammo solo nel 1994, quando ormai la Jugoslavia si era dissolta e perdemmo in casa per 2 a 1. Altri due pareggi e altre due sconfitte, una delle quali ai mondiali del 2002. Dal 2012 ci abbiamo giocato tre volte e abbiamo sempre pareggiato 1 a 1. Risultato: 9 partite, 1 vittoria 3 sconfitte e 5 pareggi. A punti vincerebbero loro: 8 a 5. L’ultimo croato ad uccellare Buffon è stato Marione Madzukic, mentre noi abbiamo segnato con Candreva, su rigore. Era il 2015, un’altra era. In quella partita non giocava l’astro nascente e vero protagonista di questo mondiale: quel Luka Modric che ha vissuto con la sua famiglia da rifugiato, che a sei anni ha conosciuto la guerra e la morte: gli è stato ucciso il nonno dai serbi sul monte Velebit. Era fragile il ragazzo. Come Messi, più di Messi. E, come lui, non adatto al calcio. Tirava a calci contro un muro tutto il giorno. Lui e il muro. Eupalla lo vide e ne parlò con Zeus che si rivelò magnanimo: anche i poeti possono giocare al pallone. Così è stato. Luka Modric se la giocherà stasera insieme a Dejan Lovren, uno che da bambino ha vissuto tra le bombe ed è fuggito in Germania. Se la giocherà con Danijel Subasic, l’eroe paratutto, figlio di un serbo, ma cattolico. Come tutti i croati: zingari felici. Che partita sarà questa Italia-Croazia? Una finale senza blasone e con una squadra che tenta di diventare pentacampeon e spera di raggiungere nell’olimpo del pallone quel Brasile gonfio di saudade? L’Italia, lo diciamo spesso, è una squadra “femmina”, difficilmente riesce ad impostare la partita. Preferisce lo facciano le altre squadre. Non gioca solo di contropiede ma ha davanti due autentici fuoriclasse: Riva Rombodituono e Balotelli. L’alfa e l’omega. Ha poi due uomini d’ordine come Pirlo e Baggio che possono costruire dentro il centrocampo. L’Italia ha dei campioni ma non sempre si vince con le stelle sul campo, neppure se superano le cinque. Non è facile vedersela con chi, invece, non ha ancora vinto niente e vorrebbe raggiungere in quel primo gradino dell’Olimpo, al cospetto dei dei del calcio, vicino alla Spagna e la Francia e vorrebbe sorridere al mondo raccontando una favola che l’Olanda, per esempio, non è mai riuscita a fare. Sarà una finale che si giocherà sugli equilibri, tra due grandi direttori d’orchestra: Pirlo e Modric, con una dose di tattica, gocce di strategia e passione. Vinca l’Italia oppure vinca la migliore e non sempre, in una finale mondiale, le cose sono andate insieme. Negli spogliatoi del Maracanà campeggia una scritta: “A pelota es un juego mas simple: chi tene a pelota attacca, chi no a tene defende”. Agli dei è dato sapere il risultato. A noi, comuni mortali non ci rimane che guardarci questa finale che vede il popolo italico contro quello croato.
E’ stata una bella esperienza raccontare questi mondiali giocando tra i ricordi di un illustre giornalista come Gianni Brera e le fantasie, a volte impossibili, che solo il calcio – come la vita – riesce a regalare. Buona finale a tutti ricordandovi che non vale più il detto di Boskov: “Rigore è quando arbitro fischia”, in quanto oggi “rigore è quando arbitro controlla Var”. Ci hanno pasticciato anche la poesia. Ma Modric e Pirlo, con un pizzico di Baggio e Perisic, sapranno sfatare anche questa strana diavoleria.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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