Ricordo gli anni Ottanta. Ero ancora un ragazzino quando Simonetta, una ragazza che veniva nella mia stessa scuola per odontotecnici, mi prese per mano e mi fece conoscere Enrico e il suo ragazzo Angelo. Diventammo presto amici e loro m’insegnarono a essere quello che sono oggi. Mi dissero: «Paolo, questa è la tua strada e da qui devi partire».Erano gli anni in cui di Aids si moriva come mosche. Si poteva resistere due, tre, cinque anni. Poi iniziavano le prime malattie collaterali, si entrava nel vortice delle infezioni e non se ne usciva più. Così un giorno Enrico se ne andò. Ricordo ancora la sua voce al telefono qualche tempo prima di morire. «Paolo, il dottore dice che starò meglio. Vedrai, appena mi rimetto ci vediamo». Enrico aveva trentun anni. Tempo dopo anche Simonetta mi lasciò. Io non l’ho mai messa la coccarda il primo di dicembre, non do molto valore a un nastrino rosso appuntato al petto o alla sua immagine sul profilo Facebook. Per ricordare tutti i miei morti, ho una sola strada: farli vivere oggi, nel mio presente. Dimostrare che la loro tragica fine ha avuto una ragione. Anche perché, se oggi sono qui è perché faccio parte di quella generazione alla David Leavitt che ha saputo difendersi dall’Aids. A modo mio, mi ritengo un privilegiato. E per me il sesso è stato sempre e solo fonte di gioia e benessere. L’ho fatto nei parchi, in macchina, nei motel, a casa mia e a casa di chi mi ospitava. Sui treni, in spiaggia, in una fabbrica abbandonata. Una volta nel bagno dell’ufficio dove lavoro, in un box e in un negozio di libri antichi. Il sesso mi ha sempre dato un’immensa sensazione di gioia, di serenità, una specie di stordimento vitale. A chi mi ha regalato anche solo mezz’ora del suo fiato, non ho mai negato un sorriso e uno sguardo profondo di riconoscenza. Perché il sesso fatto bene, quello di chi ha il coraggio di guardarti negli occhi, lo si può fare ovunque e con chiunque. Basta solo applicare due e semplici regole. La prima regola è il CONSENSO. Non ci sono altri divieti o altri moniti, non ci sono altre norme dedotte da strane congetture, astrazioni ed elucubrazioni, né dall’alto né dal basso e soprattutto da chi non sa neppure cosa voglia dire avere una famiglia. Imparato a menadito il kamasutra, se avete davanti una persona che vi guarda e palpita per voi, allora potete andare sicuri, perché potrete incontrare l’altro, un mistero fatto di odori, sapori, sensazioni. Fatto di emozioni e palpiti del cuore. Fatto d’amore che è la materia più inconsistente che ci sia, come il plancton negli oceani che nessuno vede ma che permette ai grandi pesci di nutrirsi. L’amore è amore, anche se dura il tempo di esplodere tra le mani, tanto eravate eccitati e non vi resta altro da dire che «Scusa, mi spiace ma non resistevo più.» Il consenso è la più alta forma di «etica», è ciò che garantisce a chiunque di non comprare o usare un corpo, ma di viverlo. Vivere qualcuno nella sua fisicità è ben diverso che utilizzarlo come fosse una scatoletta di tonno. Il consenso ti dice che c’è qualcosa che corre sul filo della vita tra voi due, tra voi tre o tra chi preferite. Senza consenso c’è solo violenza, sopruso e disperazione. La seconda regola è un piccolo oggetto che si chiama PRESERVATIVO. Siamo ormai nel 2016, ma i dati che il Ministero della sanità ha fornito recentemente sono purtroppo preoccupanti: pare che i casi di contagio da HIV siano aumentati negli anni al posto di diminuire. L’Italia conta oltre mille decessi l’anno, ed è il Paese dell’Europa occidentale con la più alta prevalenza di persone affette da HIV (140mila sieropositivi). Da quando ci sono i farmaci che cronicizzano l’infezione, quel poco d’informazione che eravamo riusciti a diffondere è venuta meno. Qui da noi si preferisce parlare della comunione ai separati e le istituzioni, appena si accenna all’educazione sessuale nelle scuole, fanno orecchie da mercante. Eppure questo simpatico e buffo presidio medico, fatto di lattice e che ormai trovate di tutti i tipi e per tutti i gusti, i preti dovrebbero alzarlo al cielo come l’ostia. Perché il preservativo è quell’attimo di tenerezza sospeso prima di fondersi con chi amate, è il gesto che vi salverà dal dolore, il sole che illuminerà il vostro cammino. La storia lo dice chiaramente: il cappuccio per il vostro compagno d’avventure lo troviamo persino presso gli antichi Egizi. In largo uso nel mondo greco, nel tardo Impero, tra i romani che sapevano come divertirsi, assunse una funzione squisitamente erotica. Nel Rinascimento tornò in uso dopo qualche secolo di buio, iniziando la diffusione dall’Inghilterra. L’anatomista Gabriele Falloppio, nel 1550 ricavandolo da un budello animale, aveva realizzato una guaina per difendersi dalla sifilide. Fu monsieur Còndom, che poi lo propose come vero e proprio metodo per evitare la procreazione, presso la Corte di Carlo II (1665 -1685). A ideare i profilattici come oggi li vediamo pubblicizzati in TV, ci pensò l’industriale di gomma Julius Fromm (1883 -1945) che si era trasferito in Germania dalla Russia, e che osservò il preoccupante fenomeno di migliaia di soldati tedeschi che si ammalavano di malattie veneree in seguito ai rapporti sessuali consumati nelle retrovie dei fronti del conflitto, e così quando nel 1916 iniziò la sua produzione guadagnò un sacco di soldi per tutta la Repubblica di Weimar. Dunque mi rivolgo a te, studente di un liceo artistico romano che sogni di fare il rapper, a cui finalmente lei ha detto di sì e che speri solo che i tuoi, sabato sera, vadano al cinema. A te, discotecaro di Rozzano che cerchi avventure ogni notte con donne di tutti i tipi, purché disponibili. A te, laureato in biologia che finalmente hai trovato un lavoro in un’azienda farmaceutica e che hai anche scoperto che il tuo capo palestrato pieno di tatuaggi ci sta e che è molto più sexy della tua ex. A te, insoddisfatto del tuo rapporto di coppia che passi la domenica notte a cercare prostitute di colore in circonvallazione. A te, che ti sei innamorata del tuo migliore amico dopo solo due anni di matrimonio e che ti vedi di nascosto con lui per delle ore di fuoco in un motel sulla tangenziale. O a te che hai scelto che per vivere preferisci vendere il tuo corpo piuttosto di farti sfruttare in un ufficio per due soldi. A te, che hai deciso di diventare donna, a te che non sei ancora pronta per un figlio e non può prendere la pillola per motivi di salute. A te che fai sesso nelle dark-room dei locali, a te che vai in quel night-club per scambisti. A te, che piacciono i travestiti brasiliani… Insomma, mi rivolgo a te e tutti voi, che amate ogni giorno nel vostro modo: usate il preservativo, sempre! Non ascoltate gli spacciatori di morte, quelli che credono di saperla più lunga di voi e che non desiderano affatto il vostro bene. Usarlo non cambierà le vostre emozioni e le vostre sensazioni. Non renderà meno magico quel momento speciale. Anzi, al contrario vi renderà più liberi da ogni paura e da ogni inatteso pericolo. Già, perché se usato correttamente, cioè per dirla in termini medici, prima di iniziare la penetrazione e per tutta la durata del rapporto sessuale – sia esso vaginale che anale –, il profilattico eviterà che lo sperma si liberi impedendo così da un lato l’eventuale fecondazione e dall’altro che le secrezioni dei partner entrino in contatto con le mucose, riducendo quasi del tutto il rischio di contrarre malattie a trasmissione sessuale. E questo vi darà la possibilità di fare qualcosa di molto di più di un atto d’amore. Con un semplice gesto voi direte a chi amate: «io mi prendo cura di te».
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
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