FIORENZO CATERINI – Fin dall’antica Roma, la civita era sinonimo di civiltà, l’urbe di modi urbani, mentre i campagnoli erano i cafoni, i terroni, i villani, i volgari. Il distacco morale tra città e campagna si riflette ancora oggi nel linguaggio comune.
Fino al medioevo ed oltre la città produceva, con le deiezioni dei suoi abitanti, il letame, che i campagnoli raccoglievano per l’agricoltura. La città sfruttava con la sua impronta ecologica la campagna ma, in un certo senso, la rottura del ciclo ecologico non era del tutto consumata.
Essa si consuma con l’avvento dell’industrializzazione e dell’economia di mercato. La demonizzazione delle campagne, che prima assumeva i contorni di un disprezzo classista, anche per giustificarne lo sfruttamento, comincia ad assumere i contorni di una battaglia ideologica, condotta con tutti i mezzi possibili della propaganda mainstream.
Specie a partire dal dopoguerra, il mondo della campagne incominciò ad essere dipinto come brutto, sporco e cattivo. E soprattutto povero. Le teorie economiche presero a vantare in modo esclusivo il valore dell’industria nello sviluppo sociale ed economico.
Si accentuò l’industrializzazione delle campagne, con la distruzione dei saperi tradizionali. Il ciclo vitale tra il campo agricolo e il bosco circostante, ad esempio, fu scardinato. Alla produzione di humus del bosco fu sostituito il fertilizzante chimico; alla catena alimentare del campo agricolo inteso come ecosistema biologico, all’uccellino che aveva il nido in quel bosco e che si nutriva dell’insetto che attaccava la coltura, fu sostituito il pesticida prodotto nell’industria cittadina.
Nei paesi post-coloniali vi furono dei veri e propri esodi di massa dalle campagne alle città, causati dalla coercizione di multinazionali, enti come la banca mondiale, e i governi, convinti con le buone o con le cattive.
Con risultati sociali devastanti. Le vicende delle grandi dighe indiane sono ormai note.
Nei paesi occidentali invece la campagna ideologica contro il mondo delle campagne portò ad un esodo meno forzato ma comunque anch’esso problematico. Le campagne, piuttosto che ammodernate, furono abbandonate.
Ma perché questa propaganda ideologica contro il mondo delle campagne?
L’ideologia contraria al mondo della campagna nasce dai centri più potenti del mercato. Il mondo delle campagne, infatti, conserva i saperi tradizionali, quelli che non possono essere riprodotti dalle industrie, se non in modo ingannevole riempendo le pubblicità di simpatiche vecchiette, animaletti, mulini e casette bianche in campagna, biscotti della nonna.
I saperi tradizionali ci legano alla terra e sono il motore morale dell’autoproduzione.
Autoproduzione! Nel mondo dominato dal consumismo l’autoproduzione riduce i consumi e, di conseguenza, il famigerato PIL.
Il PIL domina ogni politica che in Occidente si rispetti. Scende il PIL di mezzo punto, crolla un governo, crolla di un punto, una intera classe politica va a casa.
Ora questo è il motivo per cui persino gli orti urbani vengono visti di cattivo occhio dal potere politico ed economico.
Inoltre i centri di potere devono intercettare i fondi che gli enti pubblici elargiscono. Lo abbiamo visto con il famoso Piano di Rinascita della Regione Sarda degli anni ’60. Partito come programmazione per sostenere anche le naturali vocazioni dell’isola, ha finito per finanziare soprattutto la grande industria inquinante ed energivora, sostenuta dalla borghesia del Nord Italia, la “razza padrona” descritta in un fortunato libro di quegli anni.
Non è un caso che una insistente propaganda di Stato, in quegli anni, dipinse il mondo agro-pastorale sardo come superato e indecente, popolato da banditi, da pervertiti, da delinquenti, da padri che abusavano dei metodi di educazione.
Ed è anche il motivo per cui oggi le campagne ideologiche contro il consumo di carni fresche raggiungono il culmine. Una campagna mainstream che è riuscita, puntando sulla naturale propensione degli esseri umani alla protezione dei cuccioli, a far apparire il consumo degli agnelli, dei conigli, dei maialetti, come immorale.
Si aggiunga che la nostra società, a causa di quella rottura dei cicli vitali, ha perso completamente la cognizione dell’idea che, vita e morte, sono in continuità ciclica tra loro.
La morte è diventata uno scandalo inaccettabile. L’eutanasia è stata criminalizzata.
La visione sempre più razionalista, materiale e commerciale della vita fatica a concepire il fatto spirituale ed immateriale per eccellenza dell’esistenza, la morte.
Che così viene spostata, proiettata altrove, allontanata.
Le guerre per il petrolio esportano la morte altrove garantendo quel benessere che ci consente di vivere più a lungo. L’uomo, l’unico animale capace di ipocrisia (ed in Occidente essa abbonda), non fa i conti con le milioni di morti nei paesi lontani in cui provoca la guerra, ma si scandalizza se muore qualcuno vicino.
Poi la morte, così allontanata, ti viene a trovare comunque, sotto forma di barconi che affondano.
Ma questo è un altro discorso. Qui basta solo evidenziare come allontanare la morte è un tentativo patetico, che nelle civiltà occidentali, peraltro, assume i contorni strani di una mancata fertilità nativa. Poche nascite, poche morti.
In Occidente il tempo direzionale, privato della naturale alternanza di vita e morte, ha assorbito anche la presenza degli animali da compagnia.
Su questa affettività puntano quei centri di potere per dare il definitivo colpo di grazia al cibo naturale.
Nessuna campagna viene condotta contro cibi industriali dove gli animali, cresciuti con sostanze chimiche, entrano vivi e interi in imbuti meccanici e ne escono al termine della macchina prodotti confezionati.
Nessuno scandalo per loro, perché sono perfettamente integrati nella visione industriale, finta, artefatta, consumistica di cui facciamo parte senza averne più nessuna consapevolezza. La trasformazione dell’umanità in prodotto di risulta della mercificazione industriale trova nella signora ricca e borghese del Nord Italia con il coniglietto in braccio, tutta ingioiellata e rifatta, magari produttrice di pesce industriale surgelato, il testimonial perfetto. Per non parlare di certi atteggiamenti radical chic.
Mentre vegetariani e onnivori si infervorano nelle loro dispute, non si accorgono che la loro trasformazione in esseri disumani è già cominciata: gli uni e gli altri sono nutriti con sostanze chimiche.
Mangiamo dunque wurstel, carne allevata in batteria, hamburger con sapori artificiali e varia robaccia criminale che, però, non interferisce con la nostra visione direzionale della vita, priva di interferenze affettive. Anzi, ci rallegriamo che quella robaccia costa poco! E ti credo. E’ merda.
Ora, il consumo di carne, e nello specifico di animali che fanno ormai parte del nostro sistema immaginario come assimilati al nostro quotidiano, è cosa che attiene alla sensibilità di ciascuno.
E la sensibilità si rispetta, sempre. Specie quando è una scelta personale e intima.
Quella che invece va combattuta è l’ostentazione, il moralismo superiore e sufficiente, la campagna ideologica, denigratoria contro chi mangia la carne che, guarda caso, conserva elementi di genuinità. Va combattuta come ideologia contraria al mondo naturale, al ciclo naturale delle cose, all’umanità che ancora resiste dentro quel ciclo. Va combattuta l’ostentazione ipocrita, le campagne denigratorie contro i produttori, contro la gente che lavora in campagna e che ancora sono depositari degli ultimi saperi.
Ostentazione ipocrita che da quei centri di potere, dalla televisione, dai mainstream, è arrivata anche nel mondo libero dei social network.
Oggi che la disoccupazione ha raggiunto livelli sociali spaventosi, quelle campagne culturali che hanno allontanato i giovani dai campi hanno prodotto un disastro sociale. Recuperare il sapere agricolo non è cosa facile, ci vorrebbe, come sostengono alcuni di noi, un orto didattico in ogni scuola.
E lasciatemi dire anche un’altra cosa, per concludere. Una cosa che riguarda questa nostra terra sfruttata.
C’è una strana coincidenza, molto simile a quanto accaduto all’epoca del piano di rinascita, con quello che sta accadendo oggi con la propaganda denigratoria contro i prodotti zootecnici tipici dell’isola.
Proprio nel momento in cui si affollano progetti per l’impianto di industrie e siti di smaltimento di rifiuti che manco all’epoca della Rinascita.
Ma ne riparleremo.
pubblicato il 4 aprile 2015
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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