C’è una di quelle veglie, in Corte d’Assise. Gli imputati in gabbia. Fatti arrivare in fretta e furia da San Sebastiano dove si erano presentati i carabinieri della scorta: “Presto: i giudici stanno per uscire”. E poi invece no. Hanno cambiato idea e la camera di consiglio si prolunga. E tutti lì ingabbiati a tempo indeterminato: gli ingabbiati veri e propri, cioè gli imputati, ma anche i carabinieri, il pubblico ministero, gli avvocati e i parenti e i curiosi e i giornalisti. L’avvocato Giannino Guiso, nelle chiacchiere oziose di questo estenuante intervallo, mi dà una lezione di antropologia. Mi dice che nella sua famiglia c’erano due rami e altrettante culture. Una era “pastorale antica”, come la chiama lui. Di una zona geografica ben definita. L’altra era più “inquinata dalla modernità”. -E sai qual era la differenza che mi faceva distinguere un ramo dall’altro? Il modo in cui ammazzavano l’agnello. Quelli “antichi” radunavano noi bambini, quasi ci mettevano il coltello in mano, e lo scannavano pubblicamente, una festa pagana, allegra e feroce. Quelli dell’altro ramo, invece, ti presentavano la carne già macellata. Qualcuno prima era sparito con l’agnello, si era appartato e noi bambini non avevamo visto o sentito. E quando mangiavamo, l’arrosto nella nostra immaginazione era cibo e basta. Ve la dico così, roba di più di quarant’anni fa alle Assise di Sassari in attesa di una sentenza. E Guiso, che è stato uno dei più grandi penalisti della Sardegna, per difenderli bene,certi suoi clienti, ne studiava l’animo antico, quello che aveva radici lontane lontane e propaggini anche in un agnellino scannato. Buona Pasqua.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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