pubblicato il 12 luglio 2016
Muiran muiran los francesos y’ls traydors de sassaresos, que han fet la traiciò al molt alt Rey de Aragò! Lo cantavano gli algheresi tanto tempo fa in una festa annuale durante la quale portavano in giro un fantoccio che davano alle fiamme bestemmiando contro i francesi e i sassaresi. Il fatto è che nel 1412 i sassaresi, come dice Enrico Costa, “ne fecero una molto grossa”: si allearono ai francesi del Visconte di Narbona per assalire Alghero. Ma furono respinti e molti degli assalitori vennero fatti prigionieri e accoppati dagli algheresi. I quali erano comprensibilmente incazzati e per un bel po’ di anni celebrarono l’evento con la canzoncina e il rogo del fantoccio. Ora abbiamo fatto la pace, ma la nostra incapacità di legarci al territorio del quale siamo la città più grande, e di guidarlo, resta tutta sin da quel tardo medioevo.
Alghero e il suo sindaco in questi giorni sono alla testa della più importante rivolta del territorio degli ultimi cento anni, quella per la salvezza dell’aeroporto di Fertilia. Al loro fianco c’è anche il sindaco di Sassari, ma la sua città, che è anche la mia, non lo segue. Sta pensando alle piste ciclabili che rubano i posteggi ai commercianti “e poi tanto si sa che Sassari è tutta salite e in bicicletta non ci va nessuno”; e a lamentarsi della Ztl, perché questa storia che le auto non possano più scorrazzare nel nostro centro storico, come nei centri storici di tutto il mondo civile, proprio non gli va giù.
Così come quando negli ultimi trent’anni Porto Torres ha cavalcato con caparbia e purtroppo perdente fierezza la rivendicazione del suo ruolo di polo industriale e di grande porto, l’ha fatto in splendida solitudine. Noi sassaresi abbiamo lasciato crescere la petrolchimica senza riuscire a costruirle intorno una catena indotta di produzione e trasformazione che avrebbe reso il crollo meno fulmineo e letale per il nostro territorio. Ci siamo illusi per anni che le decine di migliaia di posti di lavoro persi e la brusca e traumatica interruzione di una trasformazione culturale del territorio riguardassero soltanto Porto Torres. Ci siamo consolati buttandoci nell’edilizia, creando enormi periferie zeppe di case invendute e dallo scarso valore, senza neppure tentare di pilotare e contenere una crisi industriale che aveva origini lontane ma che un territorio unito e forte in qualche misura avrebbe reso meno sanguinosa.
I padroni del vapore e gli gnomi delle banche se la fanno sempre addosso quando vedono che la gente si incazza davvero e costringe i suoi rappresentanti e rappresentarla.
Quindi di Porto Torres abbiamo lasciato cadere l’industria e ci siamo disinteressati al porto. E dell’aeroporto di Alghero stiamo pensando con noia soltanto al fatto che se chiude saremo costretti a fare un po’ di strada in più per usare quello di Olbia. E ci siamo resi responsabili di tre disastri epocali: rinunciare al nostro naturale ruolo guida di un territorio che pure aveva tutte le caratteristiche di omogeneità per essere una vera grande regione della Sardegna, con proprie valenze produttiva, culturale e politica; impedire che questa entità territoriale si formasse; condannare Sassari al declino.
Già, il terzo punto è proprio questo autogol, una cultura tafazziana che coltiviamo con l’ignoranza del fatto che i propulsori del territorio e quindi della città non sono in città. Parlo dell’aeroporto, del porto e dell’industria, che noi avremmo potuto pilotare in una sinergia della quale saremmo stati al centro esercitando con il nostro terziario un ruolo fondamentale di servizio. E poi l’abbiamo alimentato, questo gusto dell’autolesionismo, con i nostri improperi sconclusionati e sterili contro l’intelligente attivismo dei galluresi (che quando ci sono in ballo interessi del territorio i loro politici , trasversalmente, li fanno marciare spediti a calci in culo) e l’attitudine predatoria dei cagliaritani, che ovviamente riempiono gli spazi lasciati vuoti. L’avremmo fatto anche noi se non fossimo al disastro diffuso, in quanto a iniziativa. Perché ormai non è più questione di classe dirigente inadeguata. Secondo me questo lungo e inarrestabile declino ci ha imminchioniti tutti: popolo e re.
Questa faccenda dell’aeroporto di Alghero e delle tasse aeroportuali che fanno scappare Ryanair ha dell’incredibile. E’ sotto gli occhi di tutti come il Governo e la Regione stiano tenendo un inadeguato, burocratico e direi persino sospetto atteggiamento nei confronti della questione dello scalo del Sassarese. Questo ormai ridicolo “lo vuole l’Europa”, questo miserere che tirano fuori con il cipiglio di chi ne sa umbé e guarda con disprezzo gli ignoranti, ha davvero rotto i coglioni a chiunque abbia un po’ di buon senso e di buona fede.
Il Pd, partito di riferimento, si è spaccato. C’è un grande pezzo che appoggia le istituzioni alte persino nel peggiore degli atteggiamenti che un rappresentante di esse possa assumere. Sintetizzabile nella frase: “Noi più di così non vi possiamo favorire, se ci siete buoni ditemi voi cos’altro possiamo fare”. Io personalmente ho la mente brulicante di consigli sarcastici su cos’altro potrebbero fare, ma preferisco guardare con attenzione l’altra parte del Pd. Ma il sindaco di Alghero e quello di Sassari, strenui difensori dell’aeroporto, possono ancora ritenersi parte del Pd? Di questo Pd che nei confronti del territorio si atteggia sempre più a controparte e sempre meno a partito popolare in grado di gestire e guidare gli interessi collettivi. Ma ho l’impressione che il sindaco di Sassari, contrariamente all’altro, non sia riuscito a fare capire alla sua città che la chiusura dell’aeroporto di Alghero sarà l’epilogo del declino. Ci pensavo l’altro giorno quando alcuni commercianti (non ci sono soltanto quelli che passano il loro tempo a bestemmiare contro le piste ciclabili e la Ztl), mi descrivevano uno strano fenomeno.
Ma prima, a voi che non siete di Sassari, devo dire di Predda Niedda. Voi sapete che a Sassari c’è questo immenso parassita che si chiama Predda Niedda, una ciclopica zona commerciale extra urbana di non so quanti chilometri quadrati che ha succhiato dal centro cittadino grandissima parte delle attività produttive e creato uno squilibrio tra città e superficie commerciale che sta avendo pesanti effetti sull’intero destino urbanistico di Sassari e contribuendo efficacemente alla generale crisi della città. In queste proporzioni e con questi effetti è un caso quasi unico in Italia ed è il frutto di scelte amministrative in parte dissennate e in parte indotte dagli interessi delle classi imprenditoriali. Già, perché c’è anche da dire che un certo ceto commerciale che piange sul depauperamento del centro storico si è affrettato a investire nel mostro che lo depaupera. Ma questa è un’altra storia. La cosa interessante è che questi commercianti mi hanno detto che da qualche tempo ci sono le avvisaglie timide di un ritorno al centro storico. Pare che piccoli portenti quale l’allegro ripopolamento notturno della bella piazza Tola a opera di centinaia di giovani o altre più mirate iniziative come gli investimenti in campo culturale (tra i quali la creazione di una grande multisala nel cinema Moderno) o l’imminente riutilizzo della Caserma Lamarmora come casa dello studente, stiano spingendo alcuni imprenditori a impiegare capitali entro i vecchi limiti della città murata.
Ma mi assicurano che il primo impulso a questo accennato e per niente sicuro ritorno sarebbero stati i turisti. Sembra che soprattutto i gestori di locali pubblici abbiano osservato una presenza nuova ma costante di visitatori stranieri provenienti da Alghero, Stintino e Platamona. Sono il popolo di Ryanair, quello che scomparirà da un momento all’altro – insieme alla nostra illusione coltivata per qualche anno di essere cittadini del mondo come tutti gli italiani – perché “lo vuole l’Europa”. E io mi chiedo se questa classe politica europeista che attribuisce all’Europa i propri demeriti, non eserciti un’oggettiva e subdola spinta antieuropeista più efficace di quella di Farage, Le Pen e Salvini messi insieme.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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