Un alunno entra in classe, imbraccia un mitra e rivolgendosi ai compagni esclama: – Tutti a terra, brufolosi di merda! – – Santo cielo, metti giù quell’arma – dice sbigottito il professore. – Zitto, tu e siediti piuttosto se non vuoi finire come un colabrodo. – – Cosa succede, stai calmo parliamone – – Ho detto NON FIATAREEEE, hai sentito? – Il dialogo va avanti per 35 interminabili minuti, fino a che il professore decide che deve osare, i soliti toni, maturi e concilianti, non sortiscono alcun effetto. O la va o la spacca, anche a costo di mettere a repentaglio la propria vita e quella di un’intera classe di adolescenti. – Adesso tu mi ascolti, segaiolo dei miei coglioni. Guardami dritto negli occhi, testa di cazzo, poggia IMMEDIATAMENTE quell’arma ai tuoi piedi altrimenti ti sfondo il culo a calci come nessuno ha mai fatto e farà mai. CI SIAMO CAPITI, TESTA DI CAZZO??? –
L’indomani una folla di genitori si ritrova davanti all’ufficio del preside per presentare un esposto contro il professore, reo d’aver utilizzato un lessico non consono ad un ambiente educativo qual è l’aula scolastica, luogo solitamente deputato ad una civile convivenza democratica.
L’incipit è funzionale alla riflessione.
Riepiloghiamo: Alessandra Moretti rilascia una videointervista imbarazzante, per usare un eufemismo, nella forma e nei contenuti; un miserevole condensato di bieca vanità femminile, infarcita di vezzosi luoghi comuni funzionali a nascondere subliminali messaggi schifosamente maschilisti. Ebbene io, Romina Fiore, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, mi sento offesa dalla mole di bestialità uscite dalla bocca di quella lì e spacciate per affermazioni ottimistico-femministe divulgative di contenuti sotterranei terribilmente maschilisti che, sono certa, ai normodotati non siano sfuggiti. Il mio amico Marco Zurru, nonché collega redattore sulla testata di Sardegnablogger, fa un post su quell’intervista. Un post duro, con un lessico provocatoriamente volgare, facendo affiorare in superficie, con un’iperbole di trivialità, e senza tanti complimenti lo stesso/identico/preciso/medesimo messaggio che la Moretti ha nascosto tra notizie di ceretta e spat spat di ciglia dei suoi occhi blu.
Ed ecco, senza dover aspettare molto, la folla di gente assiepata davanti all’ufficio del preside. Donne che urlano, sbraitano e si dimenano scandalizzate per il “post sessista” dell’amico Zurru. Donne offese dal lessico. Donne turbate dal maschilismo di Marco. Donne indignate per un pezzo quasi da censura.
No, dico, riprendiamoci un attimo. Dove sono finite quelle femministe che, scandalizzando i tradizionalisti benpensanti, bruciavano i reggiseni in piazza e lottavano, fiere e solenni, con azioni meravigliosamente provocatorie per ottenere i loro diritti? Ci rendiamo conto di cosa siamo diventate? Siamo passate dalla parte della platea che guardava, sdegnata, il rogo dei reggiseni. Quella platea fatta di assennate conservatrici che, paghe d’aver ottenuto il riconoscimento dei propri diritti, si bea di un rigurgito di femminismo tenuto nel fondo della borsetta da tirare fuori alla bisogna quando legge la parola “pacco duro”. Allora sì, grida al messaggio sessista.
Ma davvero quello che vi scandalizza è il linguaggio di Marco e non i contenuti del discorso della Moretti?
Ci siamo davvero trasformate in un prodotto ibrido a metà strada tra donne audaci, fautrici di lotte profumate di mimose, e donnine con la french manicure sedute su un divano damascato con Dudù in grembo?
Forse, care sorelle di vagina, è arrivato il momento che ci fermiamo un attimo a riflettere e decidiamo qual è la linea di demarcazione oltre la quale un surrogato di donna con gli occhi blu, che si comporta come il peggiore dei carrieristi maschi, che dà prova di accettare e condividere il concetto secondo cui con la bellezza si arriva dove si vuole e la bruttezza della Bindi ha fatto il suo tempo, possa in qualche modo rappresentarci. Ma davvero ci basta un appartamento di così pochi mq. per gironzolare in tondo come criceti convinte, invece, d’avere a disposizione praterie sconfinate? Ma davvero siamo certe che possiamo brandire nell’aria una spadina di plastica fingendo che sia Excalibur?
Pensiamoci, ma seriamente. Senza fretta. Senza concederci sconti. Intimamente e collettivamente. E soprattutto, prima di pensarci, poggiamo IMMEDIATAMENTE Dudù ai nostri piedi. Altrimenti il culo a calci ce lo sfondiamo da sole. E senza nemmeno accorgerci di averlo fatto.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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