Non abbiamo fatto nemmeno in tempo ad ascoltare Blackstar, l’ultimo album uscito tre giorni fa, che se n’è andato. Ci ha presi in giro, come quando appena arrivato sulla Terra non si capiva se fosse uomo o donna. Ci ha presi in giro facendoci credere che dietro la strana, improvvisa uscita dell’album e la stella nera fosse tutto normale. E invece, è risalito sulla navicella ed è tornato nello spazio.
Ground Control to Major Tom (ten, nine,eight, seven)
È un compito ingrato, parlare di Bowie, perché Bowie è troppo.
Nell’epoca in cui il suo look era quel tripudio di colori io non lo potei ammirare. Mi accorsi di lui quando- erano gli anni ’90, conoscevo Heroes, Starman, Changes e poco altro, come si fa a non conoscerle?-imperversava il pop britannico dei Gallagher.
Io non capivo molto e infatti mi piacevano i Gallagher, più dei Blur.
Uno che ne capiva più di me scrisse così di Hours, su una rivista, nonostante dicesse come non si potesse gridare al capolavoro: “Certe cose che Bowie mette in questo disco fanno capire come mai lui sia una star da tre decenni mentre molte band del brit pop siano già alla frutta”.
Monday, Tuesday, Wednesday born I was Thurday’s child.
Poi, 2002, venne il video di Little Wonder e a quel paese gli Oasis, definitivamente.
This is not America, this is not a miracle, sha la la la.
Che Bowie fosse troppo deve averlo capito il regista Todd Haynes quando decise di girare un film ispirandosi a David e Ziggy Sturdust. Non poteva venirne fuori un classico film biografico, e infatti Haynes scomodò Oscar Wilde, Orson Wells e Quarto Potere. Ne venne fuori una cosa molto simile a Bowie, uno spettacolo per le orecchie e per gli occhi.
Can you hear me Major Tom?
David, facci sapere se c’è vita su Marte.
(La foto è un collage di Fabio Astone)
http://https://www.youtube.com/watch?v=t-rQTrj6JmM
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