Alle nove sono seduto dentro l’aula di giustizia del tribunale di Tempio Pausania. Ci accompagno un familiare, per la quarta volta in quattro anni e a sette dal fatto: un litigio dentro un ufficio pubblico proseguito con gli insulti e finito con le carte bollate, uno scazzo da pianerottolo. Tre convocazioni, tre rinvii: errori di notifica, assenze degli avvocati o dei testimoni e non mi ricordo cos’altro ancora. Alle udienze si viene convocati tutti alle nove, ma se l’elenco dei dibattimenti è fitto si può aspettare il proprio turno sino a fine mattinata. E allora seguo da spettatore, con occhio e orecchie da cronista, i casi giudiziari in esame. Va a sentenza la denuncia per un abuso edilizio segnalato dalla forestale: un locale caldaia senza autorizzazioni esteso per ben 1.57 (diconsi uno virgola cinquantasette) metri quadri. Il giudice ironizza con ampi gesti delle braccia sulla gravità del reato. Hanno chiamato anche la funzionaria della forestale a testimoniare, che è dovuta venire da Cagliari perché ora lavora all’altro capo della Sardegna. Imputato assolto con viva e vibrante soddisfazione di tutti i presenti, pubblico ministero compreso.
Si passa ad un furto di scarpe del valore di 45 euro, avvenuto nel 2006 al negozio Bernardi di Olbia. Il giudice ravvisa un difetto di notifica, perché il fascicolo era alla sezione staccata di Olbia che nel frattempo è stata soppressa: alcune carte mancano. Rinvio al 17 settembre.
Eccoci ora ad una ricettazione datata 2004, accusata una coppia di pregiudicati galluresi notissimi alle cronache giudiziarie. Mancano gli atti e pure gli avvocati, così il giudice chiede ad una legale presente per caso in aula se si voglia accollare le difese dei due, quella glissa e allora il giudice lancia un accorato appello: “C’è qualcuno che voglia difendere gli imputati?” Per un attimo sono tentato di alzare la mano e vedere l’effetto che fa, poi qualcuno si accorge che sono passati undici anni e, in nome del popolo italiano, il giudice decide per la prescrizione.
In aula siamo in pochi. La netta sensazione è che, col tempo, sia evaporato anche il minimo interesse iniziale di chi questi insignificanti casi di giustizia li aveva sottoposti all’autorità costituita. Disertano i testimoni, disertano gli avvocati e le parti offese, l’elenco delle udienze si trascina nel silenzio, come vuote pratiche burocratiche in un qualunque ufficio della pubblica amministrazione. Però ognuno di questi casi richiede indagini, uffici, carte, notifiche, avvocati, sentenze, tempo e risorse.
Maltrattamenti in famiglia di una coniuge e del figlio di quattro anni, i convocati mancano tutti tranne un testimone. Si valuta la possibilità di una prescrizione, ma il giudice dai capelli bianchi e dallo humor britannico frena e si lancia in una gag, impersonando con un’apprezzabile imitazione dell’accento napoletano un azzeccagarbugli borbonico. Per questo, questo e quest’altro motivo si rinvia al 17 settembre. Mi sembra di essere sul set di un film dei Monty Python.
Ed ecco il nostro turno, stavolta siamo fiduciosi, ci stringiamo le mani l’un l’altro come fanno i calciatori coi compagni di squadra ai calci di rigore di una finale. Invece nulla, la rievocazione della lite di pianerottolo – ormai sfocato ricordo nelle menti dei protagonisti – viene rinviata al 17 settembre “per difetto di notifica”. Troppo facile e ingiusto buttare la croce sulla casta dei giudici e dei magistrati sfaticati: qua il loro dovere lo fanno, ma un sistema concepito apposta perché non debba funzionare vanifica il loro lavoro e esaspera chi la giustizia la subisce, con le sue incertezze e i suoi tempi insostenibili.
Da casa mia al tribunale sono quaranta chilometri, in tutto oggi ottanta, complessivamente da moltiplicare per le quattro volte che siamo stati inutilmente convocati. Nessuno mi rimborsa nulla, ma quando mi fermo al distributore per riempire il serbatoio il benzinaio i soldi li vuole. Racconto sommariamente la mattinata su Facebook e un amico commenta: “E noi ci scandalizziamo perché gli indiani in tre anni non sono riusciti a fare un processo?” Già: ma non è che ad avere evitato la giustizia italiana i due marò sono stati fortunati?
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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