Un giornale di destra dà voce ad una donna residente in un campo nomadi brianzolo. Questa donna dice di augurarsi l’omicidio del ministro dell’Interno. Il ministro dell’Interno le risponde in un comizio, dandole della “fottutissima zingaraccia” e promettendo di radere al suolo la sua casa. Il popolo del ministro applaude commosso. Se nell’Italia di oggi giudichi vergognosi toni e parole del ministro, l’Italia di oggi ti risponderà che il ministro ha tutto il diritto di rispondere ad una minaccia. Parlare di ruoli, di senso dello Stato, della misura e dell’opportunità non interessa più a nessuno. Proviamo a spiegarlo con un esempio e una metafora, quest’ennesimo orrore ministeriale.
Il mio compaesano S., il giorno dopo la strage del Bataclan, scrisse un post su Facebook per esprimere il proprio cordoglio. Nello stesso post aggiunse però che sarebbe stato ben felice di vedere compiersi uno stesso attacco terroristico nel Parlamento italiano, possibilmente senza superstiti. S. auspicava lo sterminio dei politici. E il suo era un auspicio largamente condiviso, a giudicare dai post di quei giorni, di cui ho un netto ricordo. In nessun suo comizio il ministro dell’Interno del tempo, Angelino Alfano, spese una parola per esecrare il mio compaesano S. o qualunque altro internauta sostenitore del massacro senza distinzioni della classe dirigente. Il fatto è che sia il mio compaesano S. sia la nomade del campo brianzolo sono degli invasati. Ma se un ministro dovesse dar retta e replicare ad ogni invasato che scrive su Facebook o a cui viene messo un microfono sotto il naso, ricorrendo agli stessi toni grevi, finirebbe con lo scendere allo stesso livello. L’attuale ministro dell’Interno lo sta facendo e ci riesce benissimo, forse proprio perché questo è il suo livello naturale. O forse perché la differenza reale tra il mio compaesano S. e la “fottutissima zingaraccia” è proprio che quest’ultima è zingara, una delle categorie più interessate dalla propaganda H24 del ministro. E il suo essere zingara prevale persino sul suo fanatismo, perché di fanatici è pieno il mondo e non val la pena inseguirli, ma se una fanatica ha la colpa di essere zingara, beh, allora è tutta un’altra storia. Ma cosa significa dire che il senso dello Stato dovrebbe vietare ad un ministro sguaiati confronti da pianerottolo? Usiamo una metafora calcistica, dati i tempi assetati di semplificazioni. In una partita di calcio, lo Stato è rappresentato dall’arbitro. È l’arbitro che fa valere la legge e cioè il regolamento, ossia il diritto vigente sul rettangolo verde. Cosa pensereste se l’arbitro si mettesse a battibeccare con gli esaltati che ogni domenica lo insultano o si permettono insinuazioni su madre e moglie del medesimo direttore di gara? Cosa pensereste se, di fronte alla protesta e agli insulti di uno dei tanti calciatori slavi per una sua decisione, l’arbitro rispondesse al calciatore slavo – per l’Italia di oggi gli slavi sono tutti zingari – apostrofondolo come “fottutissimo zingaro”? Ecco, se il dibattito politico fosse un campo di calcio accadrebbe questo. Ma oggi il calcio è meglio della politica.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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