Il 2 aprile del 1966, quando vennero assolti i ragazzi della “Zanzara”, avevo quattordici anni e non è che abbia quindi un ricordo preciso degli echi e degli umori che di quel processo mi volteggiavano intorno. Però ricordo bene gli echi e gli umori, in generale, della mia famiglia, della mia scuola e delle mie strade. E non erano sessuofobici. Anzi. Eppure non è che fossi circondato da radicali progressisti. Quando proprio a quell’età cominciai a dire in giro di essere comunista, mio padre, quando lo seppe, mi disse qualcosa tipo “pensa a studiare e non rompere le balle”. Mia madre sorrideva silenziosa e negli occhi le leggevo: “Fossero tutti questi i mali ci metterei la firma, purché studi e trovi un lavoro”. Quando babbo si accorse che nel tempo insistevo in questa scelta ideologica e militante, cercò un po’ ingenuamente di orientarmi verso una maggiore disciplina sfruttando le mie inclinazioni politiche: “Togliatti ha studiato anche lui all’Azuni ed era il primo della classe, non era un mangiapane a tradimento come te”. Grave errore. Nel frattempo ero passato alla sinistra extraparlamentare e Togliatti era diventato un “revisionista”. Quando glielo feci presente con un sorrisino sprezzante, lui tornò alla precedente esortazione di “studiare e non rompere le balle”, alla quale per certi aspetti devo riconoscere, nella sua semplicità, una certa efficacia. Nessun accenno all’altro comunista azuniano Enrico Berlinguer perché all’epoca non era ancora famosissimo. Credo che babbo e mamma abbiano sempre votato per la Dc e la domenica andavano sempre a messa. Non mi hanno mai obbligato ad andarci e quando prima dei tredici anni ho smesso di farlo non gliene fregò niente. Non ho mai subito repressioni dirette o indirette di carattere sessuale. L’unico imbarazzatissimo accenno al sesso fatto da mio padre fu nelle vacanze dalla terza media alla quarta ginnasio, quando feci il mio primo viaggio “in Continente” (cioè a Roma) senza compagnia di adulti. Portò in auto il mio amico e me alla stazione e si imbarcò in un discorso complicatissimo perché nonostante il suo temperamento piuttosto diretto quella volta non riusciva a essere chiaro. In sostanza, siccome avevamo due lire in tasca per pagarci una pensioncina vicino a Termini e gli ormoni spettinati di due tredicenni, aveva paura che ce ne andassimo a bagasse. E cominciò alla lontana: “… soprattutto lì… alla stazione… se certe signore… signorine… certe donne, ecco, dovessero… Non si fa! Capito? E non dico per le malattie soltanto… ma anche… perché… perché siete piccoli. E poi in quei posti non ci devono andare neppure i grandi. Quando avrete la fidanzata… se anche lei vorrà… beh, si vedrà… Ma non si paga per certe cose. Se uno deve pagare per… boh … capito? E’ male per lui e male per lei. Non si fa”. Insomma, non si capiva un cazzo. Cioè, io qualcosa, anzi molto, avevo capito ed ero confuso perché era la prima volta che babbo affrontava con me argomenti di carattere sessuale. E fu anche l’ultima, che io ricordi. Cercavo di cambiare discorso e lui ne sembrava felice. Ma fu crudele il comportamento del mio amico Marco, che invece aveva capito tutto e spingeva il coltello nell’imbarazzo di mio padre. -Ma, esattamente, quali donne, dottor Filigheddu? -Eh, quelle donne… che stanno alla stazione. -Ferroviere? Fu una cosa pietosa e se ricordo bene alla fine mio padre se ne andò senza aspettare la partenza del treno per il porto di Olbia. Così in famiglia. A scuola non ricordo aria differente. Sono stato sin dal primo anno delle superiori in classe mista e non ricordo problemi discriminatori. Ragazze e ragazzi facevamo casino insieme se c’era da fare casino, c’erano amicizie miste asessuate, c’erano amicizie con infelici cottarelle unilaterali e c’erano felici ammagamenti. Non ricordo che mai un insegnante abbia in qualche modo parlato di sesso in tono repressivo o elusivo. I primi approcci con l’abbondante sensualità della letteratura greca e latina vennero gestiti dai professori con tutta l’accuratezza e la scientificità che si dovevano avere in un liceo classico. E non erano seguaci di Pannella. Ricordo anzi una lezione della docente di lettere al Ginnasio, severissima, che passava per essere chissà quale reazionaria, che ci parlò di Saffo con completezza e delicatezza nonostante la poetessa fosse in programma negli anni successivi. Ma una compagna di classe le aveva rivolto una domanda forse un po’ provocatoria e lei rispose alla provocazione facendoci crescere tutti in un’ora di quattro centimetri sul piano culturale e su quello umano. L’unico problema è che alla ricreazione noi potevamo uscire dall’istituto e le ragazze no. Ma ricordo che quasi tutti i professori, e forse lo stesso preside, avvertivano la stupidità di questa proibizione. E la Zanzara che cosa c’entra? Beh, in effetti l’ho fatta troppo lunga. Ma è per dire che io in quegli anni ero un italiano medio che viveva tra italiani medi. L’Italia vera di quei tempi, in maggioranza, non aveva paura del sesso. Tanto meno di quello educatamente accennato nelle inchieste del giornale scolastico del liceo Parini di Milano. Quale Italia allora ha portato sul banco degli imputati, dopo averli umiliati facendoli spogliare in questura, gli studenti-giornalisti per un articolo intitolato “Cosa pensano le ragazze d’oggi”? Pensate un po’, li accusarono di offendere “il sentimento morale dei fanciulli e degli adolescenti” e di costituire “un incitamento alla corruzione”. Quale Italia ha tentato di metterli al rogo? Io penso fosse un’Italia già perdente, minoritaria, ma ancora forte e rabbiosa. Una grande categoria culturale e politica, un mare torbido dove allignavano grossi pezzi di Chiesa che ancora non avevano digerito Porta Pia, una destra che pensava di potere ancora trovare linfa vitale in un’italietta di mogli a casa e mariti in casino. Una mare torbido la cui risacca, ogni tanto, dopo più di cinquant’anni ancora ci sporca i piedi.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design