Mentre scrivo questo testo mi rendo conto di non avere molta energia, preso come tutti voi dai bollettini di guerra sanitaria, ciascuno dei quali produce un contraccolpo violento che l’organismo deve per forza gestire emotivamente; ugualmente mi sforzo di proseguire per una frase che mio fratello, infermiere in Veneto, mi ha rivolto ieri: “Il lavoro sui social forse è più importante di quello dentro gli ospedali. Nessun sistema sanitario, neanche il più avanzato, può reggere se le persone non capiscono.”.
Nessun sistema sanitario, neanche il più avanzato, può reggere se le persone non capiscono. Figurarsi il sistema sanitario italiano, in gran parte smantellato negli ultimi anni per far posto a quello privato. Ma non è di questo che vorrei dire.
Mio fratello sta vivendo nel garage di casa per non correre il rischio di contagiare il resto della famiglia: la moglie, anch’essa infermiera, e due figli grandicelli che studiano al liceo. L’emergenza entra dentro casa, nel quotidiano.
Il dialogo con un infermiere al fronte, se mescolato con certe elucubrazioni filosofiche a cui spesso stiamo assistendo in questi giorni, provoca sconcerto, è straniante.
Per anni ci siamo nutriti del pensiero dei grandi studiosi che ci hanno parlato delle varie forme di potere che lo Stato esercita sulle persone (sui corpi, come si usa generalmente dire per dare l’idea del distacco tra l’organismo nudo e crudo e l’essere vivente portatore di diritti universali). Uno dei testi più affascinanti, in questo senso, è certamente Sorvegliare e Punire di Michel Foucault. L’elaborazione di concetti come quello di biopolitica o la critica che intellettuali come Giorgio Agamben rivolgono allo “stato di emergenza”, ci hanno fornito strumenti di analisi critici molto utili per contrastare le forme di oppressione e violenza che gli organismo potenti, come lo Stato, utilizzano.
Tuttavia, nel corso degli anni, la critica a queste forme di potere si è arricchita di significative acquisizioni, frutto dell’analisi che nuove forme di individualismo e competizione sociale hanno prodotto, dalla caduta del Muro in poi, nella società, sempre più condizionata dai modelli del cosiddetto “neoliberismo”, che io preferisco chiamare, con Zygmunt Bauman, “fondamentalismo dell’economia”. Per farla breve oggi, il potere dello Stato, così pervasivo e subdolo, è sovrastato da nuove forme di potere economico che, secondo alcuni studiosi, tra cui Byung Chul Han, sempre di più agiscono sulle menti. Queste forme di potere distruggono il tessuto sociale e i legami solidali, rendendoci individui sempre più dominati dagli oggetti e dal mercato. In questo senso sono stati rivalutati gli studi di Karl Polany su La Grande trasformazione, per giungere al concetto di società liquida di Bauman. In altre parole, l’individuo egocentrico si oppone agli interessi comuni, tutelati dal servizio pubblico.
Molto del dibattito attuale sui modelli di gestione dell’emergenza, cinese, italiano, inglese, americano, non è altro che una prosecuzione del dibattito sulle più importanti correnti di pensiero del ‘900. La gestione dell’emergenza, infatti, ha implicazioni etiche e sociali di tale importanza che è lecito domandarsi fino a che punto si può spingere nel privare le persone dei loro diritti fondamentali, quanto la salute sia un diritto assoluto, il ruolo dell’economia nella tutela dei diritti, e così via.
Indicativa la querelle esplosa tra due intellettuali molto conosciuti nel nostro paese, più precisamente la critica feroce che Paolo Flores d’Arcais riserva su Micromega al filosofo Giorgio Agamben per il testo uscito l’11 Marzo, “Contagio”.http://temi.repubblica.it/micromega-online/filosofia-e-virus-le-farneticazioni-di-giorgio-agamben/ Flores d’Arcais rimprovera aspramente Agamben di lasciarsi andare alle sue congeniali elucubrazioni filosofiche finendo per perdere il senso di quello che sta succedendo realmente, perché quella del contagio è tutta una manfrina, messa in atto dalla “tendenza crescente a usare lo stato d’eccezione come paradigma normale di governo”. F.d’A contesta duramente la logica di Agamben, dunque, soprattutto dove questi ritiene le misure di distanziamento sociale un fatto politico, provocando la degenerazione tra gli uomini che in questo modo non possono più toccarsi tra di loro, manco tra parenti.
Diversi intellettuali hanno fatto fronte comune con i teorici del complotto, della psicosi di massa ingenerata da poteri più o meno occulti e, nella versione narrativa più sofisticata, paventando la sospensione dei diritti fondamentali e l’instaurazione dello stato di polizia. Il tutto condito dalla fustigazione dei costumi, di un popolo masochista che ama l’uomo forte e la dittatura; e anche su questo la letteratura si spreca.
La teoria, così, comparata con l’immagine dell’isolamento casalingo dell’infermiere al fronte, diventa narrazione avulsa dal contesto, estraniazione dalla realtà. Essendo l’infermiere un addetto ai lavori e conoscendo la realtà “vissuta” del problema, il suo isolamento volontario è spinto esclusivamente da un interesse sanitario, affettivo e non ultimo sociale, proteggere le vite dei suoi cari ed impedire altri problemi alla comunità. Proteggersi da un virus che ha quasi il doppio la contagiosità di una normale influenza non è facile, mi spiega, a maggior ragione perché siamo stati colti impreparati con i dispositivi di protezione, che faticano ad arrivare. Sono 2000 i sanitari contagiati in Italia, una vera enormità. Il fatto è che una persona può essere asintomatica e nello stesso contagiosissima. Mai visto un virus così subdolo. Stiamo facendo i salti mortali, siamo al limite del crollo, soprattutto in Lombardia.
Nel momento in cui l’emergenza ti pone di fronte a questioni umanitarie primarie, come il diritto alla vita o almeno ad una morte pietosa, qualunque teorico della difesa democratica dovrebbe avere la capacità di rimodulare la sua prospettiva sulla base, almeno, di un dato matematico semplice e fondamentale.
Gli ammalati gravi, in molte realtà, hanno superato nel numero i posti in rianimazione.
Significa che la gente rischia di morire senza essere curata adeguatamente. E significa, posto che la discussione sullo smantellamento dello stato sociale dovrà essere ripresa dopo l’emergenza se si vuole ricavare qualcosa da questa dura lezione, che ora si deve intervenire con la prevenzione.
La prevenzione non è solo una costrizione del potere di uno Stato cerbero, è anche una partecipazione altruistica e responsabile della collettività. Aggiungerei senza panico, senza forzature, e con tutto il buon senso possibile.
Dai fratello, scrivi, fai qualcosa.La vera battaglia è culturale e si gioca fuori dagli ospedali. Se la gente non capisce il pericolo che stiamo correndo e non si comporta di conseguenza questa pandemia si risolverà in una catastrofe umanitaria.
La vera battaglia è culturale e si gioca fuori dagli ospedali.
La sacrosanta difesa della qualità della democrazia deve essere una guardiania perenne, un anticorpo sempre pronto a bloccare ogni tentazione autoritaria pretestuosa. E’ confortante, per lo scenario che ci aspetta, sapere che nella nostra società ci sono tutti questi anticorpi, pronti ad evitare che qualcuno, passata questa emergenza, ne approfitti per imporci uno stato meno democratico.
Ma così, in questo modo, la si trasforma in un trastullo teorico e in uno sfoggio di cultura narcisista. Fa il giro e si ricongiunge non solo a quella impostazione darwiniana e neocon che si dice di combattere, ma anche con le semplificazioni negazioniste dei complottisti e dei terrapiattisti.
La battaglia culturale, di cui parla l’infermiere al fronte, porta alla pratica della prevenzione.
La cultura che occorre per applicare con consapevolezza e senza paure la prevenzione, è l’esito di una coscienza altruista che alberga nella mente superiore di ciascuno.
(foto tratta dal sito infermieristicamente.it)
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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