Da ragazzino ho avuto la fortuna di passare interi pomeriggi in compagnia del mitico tziu Tisteddu Carboni. Il tempo di quei pomeriggi assolati trascorreva all’ombra della copertura del campanile. Il punto più alto del paese. La vedetta.
Trascrivevo le poesie ad improvvisazione che recitava al ritmo di una nenia, quasi sottovoce per non disturbare le ore del silenzio pomeridiano. Facevano a turno, i pastori. A turno osservavano il territorio a 360°.
La linea di fumo, il principio del fuoco, veniva segnalato con la sirena collocata sulla ringhiera del campanile. Subito si organizzavano i gruppi, si accorreva verso l’incendio e si domava. Anche con l’ausilio di altro fuoco. Appiccato in senso contrario all’andamento stesso delle fiamme.
Erano i tempi dei grandi incendi, come quello di Curraggja a Tempio, in cui morirono nove eroi.
Trent’anni in cui la vegetazione ha avuto il suo riscatto, ripopolando luoghi aridi e feriti dalle fiamme. In questi anni, in ogni caso, periodicamente, la Sardegna ha avuto a che fare con il dramma degli incendi, spesso attribuiti alla mano malata di piromani. I tempi sono trascorsi e ora ci troviamo a chiederci il motivo di queste tragiche giornate secondo me prevedibili.
Gli strascichi di questi eventi sono per lo più, le polemiche del “se”, delle prese di posizione, dei video da condividere o no, delle immagini forti o meno forti, pena capitale e rabbia.
Io, sconvolto per quanto accade, penso che ci debba essere un maggiore riconoscimento del territorio, sensibilizzare e soprattutto motivare gli abitanti delle nostre terre ad accudire e proteggere il paesaggio. Ma, soprattutto, come per tutte le cose in cui bisogna intervenire per una maggiore sensibilizzazione, trovare un’ora alla settimana, nelle scuole in cui si faccia educazione civica e ambientale.
Le attività agricole e pastorali dovrebbero avere uno scopo protettivo, curativo e invece, come spesso accade, leggo in quelle attività una rassegnazione agli eventi. Conseguenza di altri fattori, come l’imposizione del prezzo del latte, la sudditanza di alcuni amministratori locali all’industrializzazione forzata, alla delocalizzazione delle economie quotidiane, alle politiche regionali non sempre lungimiranti, hanno stravolto la percezione del paesaggio, il rapporto con il territorio.
Il rapporto tra i margini urbani, le periferie con la campagna, sono il fattore indicativo di questi cambiamenti. Gli orti e le aree cortilizie venivano spesso localizzati nelle immediate vicinanze dei centri abitati, per comodità, per esigenze domestiche. Molti dei piani urbanistici presenti nei nostri territori fanno scarso riferimento a questo. Spesso ci si concentra unicamente all’interno del tessuto urbano delimitando e accentuando così i margini che prima non c’erano e che funzionavano appunto da prologo per la campagna.
Il disastro è descritto, prevedibile nella nostra quotidianità, fatta di norme e di responsabilità. Ad ognuno un compito, un timbro un protocollo. Poi si distrae tutto; tutto si diluisce nei meandri di competenze e periodicità stagionali. Ci sono state pochissime occasioni, in questi ultimi anni, in cui si è fatta campagna di prevenzione e sensibilizzazione contro gli incendi.
Non ho più visto un cartello nelle aree portuali in cui si spiega la delicatezza del territorio, della natura; non ho più letto sull’importanza di non gettare nulla dal finestrino dell’auto tantomeno i mozziconi di sigaretta.
Sì, perché tra le cause probabili degli incendi stagionali c’è anche quell’odioso gesto.
Andate pure su Google o su Youtube e scrivete “wild fire prevention” e vedrete immagini forti, drammatiche, interviste sul campo a vigili del fuoco e rangers statunitensi. L’azione di sensibilizzazione parte anche dalle esperienze drammatiche.
Ritorniamo nelle campagne a rimboschire, seminiamo con le scuole i fronti e i margini dei nostri centri abitati, organizziamo centri di educazione ambientale in cui si dia importanza alle cose che apparentemente sembrano ovvie e catastrofistiche: facciamo vedere le immagini, le conseguenze di questi atti distruttivi ai bambini.
La campagna di sensibilizzazione contro la coltivazione intensiva dell’olio di palma descrive scene cruente, drammatiche, importanti per la comunicazione, in cui i poveri oranghi vengono strappati al loro territorio e uccisi. C’è stato un danno economico, ambientale ma anche sociale. “La responsabilità è di tutti” è un concetto generalista, ma è così. Ritorniamo all’educazione, alle vedette e alla poesia dei luoghi e dei paesaggi.
“Lassadilu in coghina su luminu non sies furiosu che Nerone ca faghet male a dogni zittadinu distruer dogni bene, ogni cumone. Non sias unu barbaru Cainu chi at mortu su frade che anzone. Rispetta bene meu e bene sou e no ponzas su fogu a frade tou”
(tziu Tisteddu Carboni in Sedilo)
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