Mi sono sempre chiesto che razza di divertimento possano provare i giocatori di curling e che razza di fantasia avesse l’inventore del gioco. Il curling è quello sport invernale che assomiglia al gioco delle bocce, solo che al posto della boccia c’è un pesante disco di metallo che scivola su una corsia di ghiaccio. Una volta lanciato, due compari del giocatore fregano forte sulla superficie gelata con apposite scope per favorire lo scorrimento dell’attrezzo, il che contribuisce molto ad ispirare le ironie di quegli spiritosi che indugiano sulla bizzarria di questo sport. In effetti del curling si parla solo una volta ogni quattro anni, quando ci sono le Olimpiadi invernali. Se ne parla per sbeffeggiarlo, ma prima o poi capiterà che qualche italiano si faccia onore in questa disciplina e, allora, vedremo tricolori appesi alle finestre in onore delle sue vittorie (m’immagino, magari, scope tinte di bianco, rosse e verde pendere dai poggioli). Tempo fa ho visto una commedia italiana con Edoardo Leo, Ricky Memphis e Ennio Fantastichini. S’intitolava “La mossa del pinguino”: i protagonisti erano una banda così strampalata e priva di credibilità da voler mettere su una nazionale di curling.
Dimenticatevi per un momento del curling.
Qualche sera fa ho visto la trasmissione Geo, su Raitre. Mandavano un documentario girato in Transilvania in cui si raccontava la vita in un remoto villaggio rurale di questa regione, nel pieno del gelido inverno. Donne, uomini, vecchi e bambini, tutti assieme, negli spazi comuni e nelle loro essenziali case di legno. Ad un certo punto l’autore del reportage chiede ad un’anziana signora come ci si divertisse, quando lei era bambina. La donna ci pensa su un momento, poi torna con un piccone e si dirige verso un laghetto ghiacciato. La telecamera la inquadra mentre, con la lama di ferro, traccia un cerchio sulla superficie del lago. Poi inizia a batterci cautamente sopra col manico, finché lo spessore cede. Tira su un disco di ghiaccio bello alto, sotto si scopre lo scorrere dell’acqua fredda. Nel frattempo, i ragazzi del villaggio avevano disegnato una specie di pista sul lago. La vecchia molla una pedata al disco e quello corre sulla pista, roteando su se stesso. La donna ora mostra ai bambini in cosa consistesse il gioco con cui ci si divertiva, quando era lei bambina. Monta sul disco con un piede, con l’altro si dà la spinta. La si vede scivolare sul ghiaccio, immobile sul suo piedistallo naturale, padrona di un equilibrio che pensava di aver smarrito molti decenni prima, dall’ultima volta che si era cimentata nel gioco. Invece no, il disco gira su se stesso e lei gira con lui descrivendo rapide piroette, senza mostrare la minima paura di cadere. Indossa fuseaux neri sui cui cade una gonna ciclamino e la gonna svolazza allegra, sollevata dall’aria fredda della Transilvania. È un’immagine di rara poesia. Altri, molto più giovani di lei, tentano di domare il disco, ma nessuno possiede il suo equilibrio, un equilibrio conservato nel tempo da memoria, muscoli e senso dello spazio.
Ecco, io mi sono fatto l’idea che il curling che ci sembra tanto ridicolo derivi da quell’antico gioco praticato dai bambini in questi luoghi di un mondo sconosciuto. Mi sono convinto che quel disco servisse a combattere la solitudine dei lunghi inverni coperti di bianco. Esiste una filologia per ogni gioco, un remoto significato per ogni gesto. La memoria e l’equilibrio della vecchia transilvana dalla gonna ciclamino me li ricorderò ogni volta che vedrò un disco correre sul ghiaccio di un palazzetto dello sport, preceduto dal frenetico sfregare a terra delle scope.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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