Il 5 novembre del 2015, gli abitanti della città di Mariana, nel Nord – Est del Brasile, videro materializzarsi i loro più temuto incubo. La diga che stava a monte, gonfia di fanghi tossici, aveva ceduto. La marea di fango mortifero aveva invaso la città, e inquinato il fiume che da sempre alimentava la pesca e la vita di quei luoghi. Che in quelle miniere da decenni venivano compiute le operazioni di lavaggio dei minerali ferrosi con sostanze tossiche era risaputo, così come era risaputo che la diga potesse avere dei problemi strutturali. Ma a quanto pare la società Samarco, controllata dalla grande multinazionale anglo-australiana BHP Billiton e dalla brasiliana Vale, non si è curata particolarmente di queste problematiche. Diciassette i morti travolti dal fango, migliaia le persone evacuate, l’intera economia di una regione di 250 mila persone compromessa. Il fango tossico, con arsenico, piombo, cromo e altro, ora è arrivato all’Oceano Atlantico. Un disastro ambientale di enormi proporzioni. A migliaia di chilometri di distanza, in Sardegna, un rigagnolo di rifiuti tossici continua a fuoriuscire dalle profondità della terra, dalla miniera di Casargiu, colorando di tonalità rossastre il Rio Irvi, che si getta nella rinomata località balneare di Piscinas, famosa per le sue gigantesche ed ininterrotte dune di sabbia, alte fino a 30 metri, in parte sciolte ed in parte ricoperte da gineprai e da rigogliosa macchia mediterranea. Si tratta di una zona che unisce, ad una bellezza paesaggistica straordinaria, anche la suggestione dell’archeologia industriale, per via dell’epocale sfruttamento minerario. L’area di Piscinas emana un fascino formidabile. Il paesaggio selvaggio, con i resti abbandonati degli antichi abitati minerari e delle miniere dismesse, la macchia costiera, le candide montagne di sabbia, l’ampia spiaggia assolata e desolata, e l’orizzonte marino, infondono sensazioni molto intense e profonde, dove la percezione della storia dell’uomo, delle sue fatiche e dei suoi tormenti, si unisce alle mirabolanti forme che la natura allo stato puro può assumere, riducendo l’elemento umano nella sua piccola e originaria dimensione. Un gioiello da mantenere intatto come meta escursionistica, capace di portare beneficio economico all’intera isola. Da anni si cerca di risolvere questo inquinamento, e fiumi di soldi pubblici sono già stati spesi, ma senza successo, a quanto pare. E a quanto pare vi sono due interpretazioni del fenomeno. La società di gestione delle Bonifiche, l’Igea, per bocca dell’amministratore delegato Caria, sostiene che l’inquinamento non si possa bonificare, che il problema sia irrisolvibile. Di diverso avviso l’Università di Cagliari, che per bocca del docente di Scienze e tecnologie ambientali Franco Frau, sostiene invece che il problema è risolvibile. Queste due posizioni sono rimbalzate, secondo le principali fonti di stampa, durante un recente incontro pubblico organizzato ad Arbus dall’amministrazione comunale e da una locale associazione ambientalista. Io non sono un tecnico e non saprei che dire, a questo proposito. Tuttavia trovo assurdo che, per una emergenza simile, non si muova nulla, e che debba essere l’Amministrazione comunale ad emettere ordinanze e ad organizzare convegni. Trovo assurdo tutto questo. Come se in Sardegna, ormai, ci si fosse assuefatti, a torto, all’idea stessa che l’isola possa essere inquinata e che non ci si possa fare nulla. Forse non ha giovato, in questo, una certa retorica vittimista ed esagerata che ormai ci vuole dipingere come terra talmente inquinata da non avere scampo; una cosa, insomma, ormai da accettare senz’altro. Io non sono un tecnico ma ritengo che le istituzioni, in questo caso, debbano manifestare la loro presenza. Debbano farsi vedere, sentire, soprattutto lo Stato e la Regione. Debbano considerare la questione come quella che è: un’emergenza. Di sicuro, è possibile almeno limitare il danno, attenuare l’impatto, depurare il depurabile ed evitare che la zona balneare venga contaminata. Dal Brasile alla Sardegna, nelle rispettive proporzioni, questi fenomeni sono il frutto di una economia di pura rapina, che genera entropia dalla terra senza un minimo costo di riequilibrio dell’ambiente circostante. Una economia che ha il potere di trascurare l’elemento umano che vive dei frutti della terra, e che campa anche dalla bellezza e dalla salubrità del territorio. Prima di tutto il profitto, gli affari, il giro di soldi, si arrangino i contadini e i pescatori. Dal Brasile alla Sardegna ci pare che giunga, insieme al messaggio della protervia di una economia che storicamente si disinteressa dei costi ambientali, anche una sorta di rassegnazione, di accettazione ormai assodata di una sconfitta morale e sociale che ci trova inermi, incapaci di reagire anche al male peggiore che ci viene inferto.
Per approfondimenti http://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2016/03/01/rio-irvi-piscinas-avvelanamento-continuo/ foto tratta dal sito del Gruppo di Intervento Giuridico
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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