Mi fidavo di lui. Di norma in macchina leggevo o contavo le targhe delle auto. Stavo dietro e sfogliavo giornaletti. Contavo le pagine con dentro l’Uomo Ragno o La Cosa. E guardavo fuori. Guardavo gli autogrill che ci passavi sotto e contavo i chilometri che ci passavi sopra. Stavo dietro, dietro il sedile e dietro quella testa rassicurante per me, che teneva il volante con garbo. Per la patente era presto ma seguivo e già mi ci vedevo. Che avrei guidato io, prima o poi. Mi sedevo dietro e lasciavo scorrere il viaggio, la testa appoggiata sul sedile, cullato dalla strada. Guidava piano e portava il suo carico, sicuro. E noi in silenzio a pensare ad altro. Aveva già un po i capelli bianchi e guidava. Poi son cresciuto e son seduto al suo fianco, più volte. Poi lui al mio. I capelli erano più bianchi e più volte mi ha lasciato gli anni e il volante. Sempre più spesso lo dava a me. 53, 63, 73 anni. E il volante sempre più spesso lo dava a me. Era mio padre.
Anche Pedro, lo chiameremo così, ha i capelli bianchi. E 63 anni. Pedro. E non ha dormito. Forse ha appoggiato la testa per qualche ora, al sedile di quell’autobus sul quale vive. Da 30 anni o forse più. Pedro. Ha aspettato che finissero i bagliori della festa, i rumori che lo avevano scosso nel suo sonno rubato, tra il volante ed il cambio. Forse ha bevuto il caffè dal termos prima di aprire le porte, accendere l’aria e il motore. E sentire ancora una volta la vita salire sul suo autobus. E la vita c’è davvero in questa notte spagnola, che sa di umido e salsedine. È tutta qui, sul suo autobus, che sorride e parla fitto, tra zainetti colorati e bagliori di cellulari che illuminano visi e capelli e occhi. Occhi che si appoggiano al sedile, a ripassare quei fuochi di artificio che sanno di anticipo d’estate, a scorrere veloci e rapidi i pochi anni indietro e tutti quelli davanti, tanti, in un film di sogni e futuro come solo i ragazzi sanno sognare. Occhi seduti dietro, a guardare gli autogrill che ci passano sopra e a contare i chilometri che ci passano sotto. Stanno dietro e si lasciano andare. Stanno dietro sui sedili e dietro quella testa rassicurante, che tiene il volante con garbo. Dietro Pedro, capelli bianchi, che guida, si stropiccia gli occhi e pensa malinconico a quella gioventù. Pensa alla sua che è passata lungo le righe di mezzeria di mille autostrade. A quella di sua moglie che è sfiorita tra le sue mani, tra un bucato steso al sole in un terrazzo che guarda la Rambla da lontano e l’odore di caffè e burritos in una cucina da rifare. Un altro viaggio ancora e si rifà. Un altro viaggio, per la rata del mutuo. Per i figli o forse i nipoti all’università. I figli e i nipoti, che hanno visto il Barca in TV stasera, che hanno visto tante volte la sua testa, seduti dietro, portarli a scuola al mattino e lasciarli là fuori con un sorriso. Si fidavano di lui. Anche loro. Ma stanotte si è addormentato, Pedro. Si è addormentato e si è risvegliato nell’incubo della luce spenta. E le parole gli si fermano in gola. Doveva portarli a scuola e lasciarli lì col suo sorriso. Ma non ce l’ha fatta, Pedro. Forse cerca nelle tasche le lacrime, lì, in piedi su quell’asfalto che sa di amaro. Resta in piedi lì, senza lacrime e parole, è da che anche se svuotasse i forzieri del mondo intero non ne troverebbe mai abbastanza. Si è addormentato, Pedro. Avrebbe dovuto essere a casa, a guardare il Barca, Pedro. Con la sua testa bianca appoggiata al divano. Avrebbe dovuto passare il volante. E invece si è addormentato Pedro, tra la fine della sua strada e l’inizio della vita. E nel suo sonno ha portato con se tredici film. Tredici film che nessuno vedrà.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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