È una teoria quella secondo cui Marcello Dell’Utri, strettissimo collaboratore di Berlusconi e cofondatore di Forza Italia, fosse un uomo legato alla mafia? No, non è una teoria fantasiosa. È la motivazione della condanna in via definitiva inflitta dalla Cassazione, due anni fa, allo stesso Dell’Utri, che sta scontando la pena di sette anni nel carcere di Parma. E se queste relazioni di Dell’Utri sono provate, sarà lecito chiedersi quale ruolo possa aver avuto la mafia nella nascita di Forza Italia, nel 1993, mentre il sistema dei partiti crollava, la guerra fredda finiva e i boss, dopo aver ucciso Falcone e Borsellino, massacravano gente comune con le stragi di quell’anno? Non è lecito, è doveroso chiederselo. E sarebbe da vigliacchi girarsi dall’altra parte. Dopo aver visto su Sky “La Trattativa” di Sabina Guzzanti, l’indignazione per il divieto di proiezione imposto dal sindaco di Olbia cresce e diventa insopportabile. Perché il film non racconta balle, perché un amministratore pubblico che neghi il diritto di farsi un’idea ai cittadini è una anacronistica mostruosità. I fatti narrati ne “La Trattativa” sono noti a chi abbia avuto voglia di approfondire la storia politica e criminale di quegli anni, peraltro confermati dalle testimonianze dei magistrati Di Matteo, Scarpinato e Ingroia, le cui dichiarazioni sono una parte fondamentale dell’inchiesta della Guzzanti. La trattativa è quella che, in quel 1993, sarebbe stata avviata sottobanco tra importanti soggetti della classe politica nazionale e il leader mafioso Bernardo Provenzano, per portare ad una tregua in quella che era la sanguinosa guerra tra la stessa mafia e lo Stato. Guerra nella quale perirono Falcone e Borsellino, quest’ultimo condannato anche dalle omissioni di politica e magistratura. Una trattativa nella quale è difficile stabilire chi stia al di qua e chi al di là della linea della legalità, dove i massimi vertici di carabinieri e polizia agiscono ambiguamente e dove la mafia interviene per dire la sua nei futuri equilibri politici italiani. E sarà lecito chiedersi cosa abbia fatto per due anni ad Arcore il defunto boss della mafia Vittorio Mangano, amico di Dell’Utri dagli anni settanta?
Queste cose sono scritte in centinaia di pagine processuali e i giornali le hanno scritte tante volte. Sono domande che bisogna continuare a porsi, ascoltando ogni nuovo contributo. Perché, allora, qualcuno non vuole che si veda “La Trattativa”? Lo abbiamo già scritto, su Sardegnablogger. Perché per qualcuno la ricerca della verità viene molto dopo la fedeltà ad un leader politico. Ma io credo che questa censura sia anche un implicito riconoscimento al lavoro dell’antipatica Guzzanti: mettere in fila con ordine ed efficacia fatti e circostanze storiche e portare questo lavoro di ricerca nelle piazze, mettendolo a disposizione della gente, diventa concessione pericolosa. Rischia di far crescere in modo incalcolabile il numero di chi certe domande se le pone e chiede di saperne di più, sulla storia non scritta di quegli anni. Solo che la censura, nell’odierna multimedialità, non ha senso e non ha alcuna possibilità di riuscita. Il gesto arrogante di chi ha provato ad imporla, però, resterà per sempre.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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