La notizia è di quelle grasse, anche se adesso pare sia una mezza bufala: http://www.huffingtonpost.it/2015/01/23/suora-partorisce-san-severino-marche_n_6533954.html?ref=fbph&ncid=fcbklnkithpmg00000001.
Le battute, inevitabili, sono fioccate e così le condanne e le assoluzioni di ufficio.
Ora, io sarò anche anticlericale–cioè sono ferocemente contro il clericalismo–ma le suore mi sono simpatiche.
Le suore ce le avevo dietro casa–gestivano l’asilo–ma non mi ricordo niente di brutto.
Erano lì, facevano il loro lavoro, aiutavano quelli che avevano ancora meno del poco che avevamo noi.
La notizia di una suora–suora rigorosamente di clausura–fa ridere.
C’è poco da fare.
Ma a me non suscita pensieri di rivalsa: ero troppo grande quando Madre Teresa è diventata una superstar, amica dei potenti del mondo, invitando i poveri a perdonare i ricchi in cambio del paradiso.
Quando penso a una suora penso all’ultima volta che ho visto una suora ad Amsterdam.
Era il 1986 o 1987: un bel pomeriggio di maggio.
Camminavo lungo l’Amstel, il fiume che da il nome alla città e l’ho vista.
Già vedere una suora ad Amsterdam è un avvenimento eccezionale.
No dico: un a suora a Sodoma e Gomorra!
Era in bicicletta e aveva il velo–grigio e asessuato come il resto–ma aveva tirato su le sottane fino a metà delle cosce bianchissime.
Pedalava e sorrideva, contenta di quel vento caldo sulle cosce.
Almeno credo.
Forse pensava di mostrare le sue cosce bianche al suo Sposo Divino.
Ma sono mie interpretazioni.
Una cosa è sicura: aveva un’espressione felice e se ne fregava delle gente intorno.
Guardava davanti a sé e pedalava sorridente.
Mi ha messo allegria.
Ma è anche stata l’ultima volta che ho visto le cosce di una suora.
E anche l’ultima volta che ho visto una suora a Sodoma e Gomorra.
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