Il 13 gennaio del 1817, a soli venticinque anni, Giovanni Antonio Carbonazzi* entra a far parte del Corpo del Genio Civile piemontese e viene posto alla guida dell’apparato recentemente istituito anche in Sardegna. Tre anni dopo, all’inizio del 1820, il Ministero dell’Interno lo invia in Sardegna in missione straordinaria “per studi relativi a ponti e strade”e il 27 novembre 1820 viene incaricato dal re Carlo Felice di progettare e realizzare una nuova rete stradale per tutta l’Isola e dirigerne i lavori. Nell’isola, per l’incarico affidatogli, approda il 20 gennaio 1821 accompagnato da pochi collaboratori tra i quali gli ingegneri Musso, Cerruti e Dervieux e successivamente raggiunto da altri tecnici del Genio Civile piemontese, tra i quali il fratello più giovane Carlo Bernardo. Secondo le istruzioni ricevute, si rivolge al Vicerè, il Marchese di Yenne che gela subito il suo entusiasmo: in Sardegna non esistono né studi, né progetti preliminari di infrastrutture stradali, né tecnici su cui contare come collaboratori, inoltre l’unica guida cartografica per orientarsi nell’isola e per effettuare le prime ricognizioni nel territorio è la carta del padre Tommaso Napoli, storico e geografo, realizzata nel 1811 in collaborazione col cartografo Giovanni Antonio Rizzi-Zannoni. La carta, redatta secondo criteri piuttosto empirici, ricavando ad esempio le distanze tra le diverse località dal tempo impiegato per percorrerle a cavallo, viene simpaticamente definita dall’ingegnere piemontese “poco esatta in verità, ma la più esatta di tutte”. Il sistema stradale elaborato da Carbonazzi, che intuisce realisticamente le vocazioni produttive dei sardi, è teso a valorizzare la povera economia di scambio favorendo le esportazioni e le importazioni attraverso una rete stradale che colleghi i villaggi rurali ad un asse viario principale che congiunge Cagliari con Porto Torres, passando per Oristano, Macomer e Sassari: propone, inoltre, nel suo “Discorso sulle operazioni stradali di Sardegna” il brillante ingegnere piemontese: «Riuniamo insieme tutte le disegnate strade con un’altra che le intrinsechi tutte, dirigendola da Cagliari a Sassari, ed allora quel tal sistema di comunicazioni, che non lascierà più nulla da desiderare; ma badiamo bene che questa strada longitudinale, che diverrà di sua natura la principale e la più importante, non riceverà tutta questa sua maggiore importanza se non che dopo l’eseguimento delle strade trasversali dirette alle varie marine». Il progetto, presentato il 15 giugno 1821, viene approvato dal re Carlo Felice il 27 novembre dello stesso anno e il 6 aprile 1822 il vicerè, marchese di Yenne, fa collocare in piazza San Carlo la prima pietra miliare della nuova Strada Reale, mentre a Porto Torres, nei pressi della vecchia darsena, viene collocata una colonna romana che ne indica la fine. Seguendo approssimativamente l’antico tracciato della Karalis – Turris, la Strada Reale congiunge Cagliari con Porto Torres dopo un percorso di 235 Km. Durante la sua realizzazione sorgono non pochi problemi di carattere tecnico e ostacoli di natura ambientale soprattutto nelle zone più impervie, come il Campidano e l’Oristanese, attraversate da corsi d’acqua a carattere torrentizio. Spesso le opere appena eseguite vengono messe in serio pericolo dalle periodiche piene, mentre in altri punti si deve ricorrere a interventi straordinari per le tecnologie del tempo, come l’alzata lunga 600 metri e il ponte sullo stagno di Paulifigus, vicino ad Oristano. Il clima delle zone interne, proibitivo durante l’inverno, e l’imperversare della malaria durante l’estate, impongono ritmi ai quali tecnici e maestranze, quasi tutti piemontesi, devono adattarsi. La malaria è un vero e proprio flagello: molti stretti collaboratori di Carbonazzi, tra i quali l’ingegnere Marechal e lo stesso fratello Carlo Bernardo, colpiti dalla malattia, muoiono nel giro di pochi giorni nell’estate del 1827. I lavori durano quasi sette anni, dalla primavera del 1823 all’estate del 1829, con cicli lavorativi di 130 giornate di lavoro effettive, concentrati tra i mesi di febbraio e giugno. L’opera viene a costare circa 4 milioni di lire. L’ingegnere piemontese rimane in Sardegna circa undici anni, durante i quali, oltre alla Strada Reale, intitolata successivamente a Carlo Felice, realizza anche altre opere come la bonifica e la messa a coltura di diverse zone paludose tra cui lo stagno di Sanluri. Sull’esperienza professionale e umana vissuta in Sardegna Carbonazzi svolge una dettagliata relazione al Congresso Permanente d’Acque e strade il 4 maggio 1832, pubblicata successivamente col titolo “Sulle operazioni stradali di Sardegna”. L’editto del 13 aprile 1830, infine, che classifica le strade sarde in 4 categorie, (reali, provinciali, comunali e vicinali) così la definisce: «La Strada reale, l’unica della sua classe, è quella che attraversando l’isola nella sua lunghezza, e passando per la città di Oristano si estende dalla capitale alla città di Sassari e da questa mette a Porto Torres». Scrive Valery nel 1837: «Porto Torres, un tempo villaggio miserabile citato per la sua insalubrità, ha raggiunto una certa importanza e cresce ogni giorno di più in seguito alla costruzione della nuova strada centrale e all’istituzione della dogana. La popolazione assomma già a quasi 1.300 abitanti» ed ancora: «una buona diligenza, gestita da un francese, parte due volte la settimana da Porto Torres per Cagliari, dove arriva in trentasei ore: c’è una sola classe di posti al prezzo di sei scudi e un quarto sardi (circa trenta franchi)».
Chissà se oggi un’opera così imponente si potrebbe realizzare in così poco tempo e senza disturbare la gallina prataiola….
* Giovanni Antonio Carbonazzi nasce a Felizzano (Alessandria) l’8 giugno 1792. Dopo i brillanti studi presso l’École Polytechnyque e l’École Imperiales des Ponts et Chaussée, viene incaricato nel 1811 di seguire i lavori lungo la Strada del lago del Bourget in Savoia , nel 1812 gli viene affidata la direzione dei lavori del ponte di Roanne , nel Dipartimento della Loira e nello stesso anno viene inviato a soprintendere alla costruzione del Canal du Cher (oggi Canal de Berry). Nel 1814 rientra in Piemonte e grazie al prestigioso titolo di Membro onorario del Corpo degli Ingegneri di Ponts e Chaussée viene nominato, da parte del restaurato Governo Sardo, Professore di geometria pratica e di disegno presso il Collegio di Casale. Per il servizio straordinario e le opere realizzate nell’Isola ottiene diversi riconoscimenti e promozioni: Ispettore del Genio Civile e il grado di Maggiore di Fanteria del R. Esercito, con un notevole aumento di stipendio (3900 lire l’anno); il diploma di Architetto civile e di Ingegnere idraulico, rilasciatogli dall’Università di Torino nel 1824; nel 1826 è insignito dell’abito e della croce dell’Ordine Mauriziano, che gli vale, nel 1834, l’assegnazione di una pensione annua di 800 lire. Nell’Isola conosce anche e sposa una giovane donna dell’aristocrazia sarda, Maria Cristina Cappai, figlia del medico Salvatore Cappai, che aveva curato i Savoia quando si erano rifugiati in Sardegna durante il periodo napoleonico. Rientrato in Piemonte nel 1831, grazie alla sua particolare esperienza viene inviato in Sardegna anche nei decenni successivi ed ha modo di approfondire le sue conoscenze sulla realtà, sulla storia, sull’etnografia, sulla civiltà e sull’ospitalità del popolo sardo, aspetti di cui ha lasciato interessanti appunti nelle sue memorie.
Nata quasi a metà del secolo scorso, ha dato un notevole impulso, giovanissima, all'incremento demografico, sfornando tre figli in due anni e mezzo. La maturità la raggiunge a trentasei anni (maturità scientifica, col massimo dei voti) e la laurea...dopo i sessanta e pure con la lode. Nonna duepuntozero di quattro nipotini che adora, ricambiata, coi quali non disdegna di giocare a...pallone, la sua grande passione, insieme al mare.
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