Dicono ci sia confusione sotto il cielo. La situazione, secondo vecchie alchimie, dovrebbe essere eccellente. Ma non è così. Traghettiamo i nostri ricordi senza neppure acquistare una bussola e ci troviamo in mare aperto. Barconi selvaggi senza meta. Che di questi tempi non è l’esempio più amato. Mischiamo tutto: dalla tirannia alla libertà. E non riconosciamo niente, non sappiamo chi è buono e chi è cattivo. Meglio: i cattivi sono gli altri. Il nostro revisionismo sdrucciolo, la nostra ignoranza crassa, raccolta a tinte forti tra i secchi della demagogia e della retorica. Mussolini, in fondo, non era così cattivo. E neppure Stalin e neanche Franco. E che differenza c’è tra loro e Napoleone e Mandela e Che Guevara e la storia è tutta uguale. I partigiani, poi, non ne parliamo. Già, perché se ne dovessimo parlare, accennare almeno, dovremmo confrontarci con altri spettri che aleggiano nella nostra labile memoria: Mussolini era un dittatore, cinico e perverso, il mandante dell’omicidio di Matteotti e della democrazia. Il fascismo era il male da debellare. Non sopporto questa retorica falsa e caramellosa che ogni anno, il 25 aprile si presenta: tra chi ricorda e chi fa finta di niente. Come siamo provinciali e come siamo “piccoli” davanti ad altri popoli che celebrano le loro feste nazionali con infinito orgoglio. Non riusciamo, neppure per un attimo, a comprendere che la ricorrenza (ed è una festa in onore di chi è caduto e ha combattuto per la libertà) servirebbe per ricordare un passaggio fondamentale: ci fu il tempo dei lupi e ci fu il tempo dei cacciatori che bonificarono il terreno. Perché occorre sempre spiegare chi erano i buoni e i cattivi? Che senso ha ripercorrere ogni volta la stessa strada con la voglia sfacciata, da parte di qualcuno, di cambiare destinazione? Io lo so perché: è il regalo di chi ha combattuto per noi, di quelli che ci hanno permesso di poter anche essere contro la loro opera, contro il loro ideale. Non dobbiamo avere paura di dire: noi siamo qui perché loro hanno deciso. Non hanno imbracciato una bandiera e non hanno diviso le città e le regioni. Hanno combattuto semplicemente affinché i loro figli e i nipoti non dovessero, un giorno, ansimare tra le montagne a debellare i lupi. Ma, sia chiaro, non possiamo, ogni volta spiegare che i lupi sono cattivi e che ci sono altre soluzioni all’abbattimento. Certo. Ce ne sono. Ma la storia detta tempi e modi. Teniamocelo stretto questo 25 aprile e finiamola di rivedere sempre tutto, di provare a riscoprire nuove strade. Teniamocelo stretto e proviamo, almeno per un giorno ad essere orgogliosi di chi ha deciso di scommettere su tutti noi. Nessuno escluso.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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