Come nella poesia di Montale, la storia raccontata dagli uomini è piena di imperfezioni. Ma qualche lezione la può ancora dare. Nel 1863 i soldati americani catturarono uno dei capi apaches; i soldati lo torturarono, prima di decapitarlo e inviare il teschio in un museo; questo atto era intollerabile per gli indiani d’america anche perché per la loro religione, un morto decapitato era costretto a vagare nel tormento e senza pace. Lo sterminio della più importante fonte di sostentamento, il bisonte, la diffusione volontaria del vaiolo, la costrizione a firmare trattati che poi gli stessi americani non rispettavano e, soprattutto, la deliberata uccisione di civili inermi, aveva finito per provocare delle reazioni da parte degli indiani d’america. Questi fatti furono utili alla propaganda contro i nativi, cosicché la stragrande maggioranza del popolo finì per appoggiare gli stermini dei “pellerossa”, incivili per natura. Furono persino poste delle taglie per chi uccideva più indiani. Una potente macchina di inculturazione popolare, culminata nel cinema western, rappresentava i “pellerossa” come violenti e malvagi per natura. All’epoca i massacri di interi villaggi venivano giustificati con ogni pretesto. Bastava poco e partiva immediata la distruzione di interi villaggi. Nel 1864 un battaglione di americani, spinti esclusivamente dall’odio razzistico, attaccò un villaggio cheyenne in Colorado massacrando uomini, donne e bambini. I soldati stuprarono le donne e fecero il tiro al bersaglio con i bambini, in quell’episodio noto come il massacro del fiume Sand Creek. Quella gente si era arresa, era ormai innocua, tanto che sventolarono bandiera bianca. Furono tutti abbattuti a vista, compresa una bimba di sei anni. I prigionieri vennero fucilati, comprese le donne e i bambini, e i soldati infierirono con i cadaveri. Si sostiene che alcuni soldati si rifiutarono di partecipare, tanto oscena fu la carneficina. Le stragi efferate si susseguirono per tutto il secolo. Nel 1890 fu impiegata la mitragliatrice per sterminare una popolazione di 350 persone, tra cui la maggior parte donne e bambini. Alla fine è stato calcolato che, con modalità più o meno brutali, tra cui anche la sterilizzazione, il 90 per cento circa degli 80 milioni di nativi americani fu sterminato. Il destino dei “pellerossa” sopravvissuti è noto. Essi finirono nelle “riserve”, in realtà veri e propri campi di concentramento. Pensate, solo nel 1964 gli Stati Uniti d’America hanno restituito i diritti civili ai nativi, come del resto agli ex schiavi afro-americani. Nel 1964, pochi anni prima dello sbarco sulla luna. Eppure fino a pochi anni fa nei film western gli indiani erano i cattivi, e i bianchi i buoni. Mi immagino la retorica dell’epoca, verosimilmente simile a quella cui stiamo assistendo in questi giorni per la carneficina orrenda di Gaza. E’ strano, ma la retorica guerrafondaia, di matrice razzista, si ripete nelle epoche. Pensate che all’epoca, esattamente come oggi in Palestina, si susseguivano, alle angherie e ai massacri, le giustificazioni più astruse. Oggi si parla di scudi umani e di soldi spesi da Hamas in armi. Una retorica tanto ripetuta quando comodamente accettata da molti. Priva di logica. Gli scudi umani vengono usati quando servono a fermare il fuoco. Ma ormai è abbastanza chiaro che gli israeliani non si fermarebbero neppure davanti ad una bambina di 6 anni che sventola bandiera bianca. E se anche Hamas non comprasse i suoi razzi e non scavasse i suoi tunnel, se anche il popolo palestinese si rassegnasse completamente, sfuggendo al dolore, alla rabbia, alla disperazione, alla prigionia, ebbene, la storia non cambierebbe. Un pretesto buono, quando si vuole occupare ed invadere, lo si trova sempre. Ce lo dice la storia dell’umanità e, soprattutto, la storia di una “certa” umanità, che sta da questa parte del mondo, purtroppo. La storia sarà bugiarda, è vero. Ma nessuna persona appena informata ed equilibrata si sognerebbe, oggi, di mettere dalla parte degli aggressori i nativi americani. Non è una cosa che può stare nella logica spazio-temporale degli eventi. Eppure all’epoca si faceva. Esattamente come si fa oggi con la Palestina. Sono i Palestinesi, rinchiusi nella striscia di Gaza, un vero e proprio gigantesco campo di concentramento con un muro tre volte più grande di quello di Berlino, ad essere gli aggressori, per costoro e per la propaganda occidentale che si arrampica negli specchi. Con una differenza. Che all’epoca non c’erano gli straordinari mezzi di informazione che ci sono oggi. Ragione per cui, chi oggi giustifica, anche in qualche modo, l’invasione, l’aggressione perpetua e continuata, i torti, le angherie, i massacri e le carneficine di civili inermi, donne e bambini a Gaza, ha molte meno giustificazioni morali del popolo americano dell’800. O del popolo tedesco della seconda guerra mondiale.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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