La storia non è magistra di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve a farla più vera e più giusta. Nell’incontro di presentazione del mio volume sul problema storiografico sardo (La mano destra della Storia), la professoressa Ninni Tedesco mi ha domandato come si poteva sintetizzare agli alunni della scuola la risposta alla domanda sul perché, in un certo senso, la Sardegna è scomparsa dalla storia. Come sintetizzare, in modo semplice e immediatamente percepibile agli alunni, i processi egemonici che hanno comportato l’esclusione della storiografia sarda dalla storiografia nazionale, i flussi identitari nazionalisti di unificazione culturale, le dinamiche indagabili con gli studi post-coloniali, il vizio storiografico diffusionista e le manie esterofile che da esso discendono. Il problema storiografico sardo non è certamente argomento semplice, e il rischio è di semplificare dinamiche complesse magari scadendo negli eccessi essenzialisti e idealistici, opposti alla ormai consueta e persino stucchevole critica alle dinamiche popolari mitopoietiche e identitarie. In soccorso mi è giunta, così, la poesia di Eugenio Montale sulla storia. La storia non è poi la devastante ruspa che si dice. Lascia sottopassaggi, cripte, buche e nascondigli. C’è chi sopravvive. Ecco, per ricorrere alla suggestione evocativa di Montale, la storia della Sardegna è finita in uno di quei buchi, di quelle cripte, di quei sottopassaggi. E’ ancora nascosta in un cantuccio che aspetta. E’ rimasta fuori dalla storiografia del mondo, perché la storiografia non è neutrale, non è scrupolosa, non è perfetta, non è l’emblema della precisione. E’, al contrario, approssimativa e distratta, ma soprattutto pende da pressioni e squilibri, da condizionamenti che derivano dai vizi mentali degli uomini, dai rapporti di forza e di potere, dai vincitori e dai vinti, dalle umane debolezze e virtù. Spiega Montale che la storia non è una ruspa devastante, ma ancora più suggestiva è l’immagine della rete a strascico, che tutto vorrebbe raccogliere, ma che spesso non riesce. La storia gratta il fondo come una rete a strascico con qualche strappo e più di un pesce sfugge. La Sardegna è un pesce sfuggito alla rete a strascico della storia. Non so se possa essere chiaro per un alunno, ma per iniziare penso sia già qualcosa. Incominciare a dire che la storia che si studia è perfettibile, è il frutto di dinamiche di potere e di forza, ed è fondamentale conoscerla, per capire il mondo che ci circonda, ma sempre con spirito critico. E’ il sapere critico, dunque, una delle altre lezioni che l’oscurantismo della storia sarda ci regala. Essere affamati di sapere è il giusto viatico per comprendere il mondo; in più, aggiungere a questo sapere lo spirito vigile e critico ci rende protagonisti attivi e testimoni laboriosi e volenterosi del mondo che sarà. Codesto solo oggi possiamo dirti Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Ma questa è un’altra poesia, ovvero un’altra storia.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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