Chi lo dice che al Capo del Governo e alla sua corte debba essere proibito di parlare del pessimo giornalismo dei giorni nostri? Anzi, è l’opposto: titoli del genere “Bastardi islamici” o “Vacanze intelligenti” (apertura di Libero dedicata al rapimento di Enzo Baldoni), solo per citarne due che mi vengono in mente, oppure il gossip su L’Unità in cui Rondolino attribuisce un debole per Maria Elena Boschi a Marco Travaglio, ecco, tutta questa roba è materia di riflessione e analisi politica, proprio perché non si può ignorare la corruzione attraversata da gran parte del giornalismo italiano, un disfacimento dei valori fondanti l’informazione che sta finendo con l’innalzare a modello il tifo più basso, oscurando lo sforzo di essere autorevoli e obiettivi. Se Berlusconi minaccia i suoi avversari promettendo di scagliare contro di loro i suoi giornali, la politica deve considerare questo uso strumentale della stampa un problema e dovrebbe affrontarlo. E non basta liquidare il tutto dicendo che i servi nelle redazioni sono sempre esistiti o che è il pegno che si deve pagare in uno Stato dove la stampa è libera. Io, però, non voglio affatto difendere Renzi, anzi. Perché se è vero che molto del nostro giornalismo fa ribrezzo e una politica libera dovrebbe occuparsene, è anche vero che le prime pagine proiettate sullo schermo della Leopolda non inquadrano il problema dell’informazione nel suo complesso. No, semplicemente l’entourage di Renzi ha mostrato le prime pagine sgradite al Governo, quelle in cui si affrontano con taglio critico alcune azioni dell’esecutivo. Sono, nel dettaglio, prime di Libero e de Il Fatto quotidiano, quest’ultimo quotidiano particolarmente irritante per il Premier. Posso dire che sono pagine normali e ho visto copertine molto peggiori, quando non di orribile cattivo gusto o dolosa disinformazione. E quindi, mostrando solo quel che lo infastidisce, Renzi ha dimostrato che della qualità dei media non gliene importa molto e in fondo di non essere diverso da quel Berlusconi abituato a dettare i titoli ai suoi direttori. Quell’elenco di prime pagine sgradite, presentate in maniera così strafottente, palesa un’insofferenza verso il pluralismo che non va affatto sottovalutata. Non molto diversa da quella dell’editto bulgaro.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo e-book "Cosa conta".
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