Troppo facile buttarla in politica anche se, lo ammetto, vedere trionfare a Sanremo un ragazzino il cui padre era un immigrato e la madre una ragazza di Orosei (sempre di Sud stiamo parlando) viene da dire: e adesso? Mahmood ha vinto alla sua prima apparizione dopo essere passato per Sanremo giovani, un laboratorio voluto fortemente da Claudio Baglioni quello che, per intenderci, ha rivoluzionato il Festival di Sanremo. Mahmood non era nella lista dei miei vincitori e, lo ammetto, avrei preferito vincesse Loredana Bertè – anche se i fischi al suo quarto posto sono stati oltremodo indecorosi e plasticamente cafoni – e non avevo puntato – uno dei pochi – su Ultimo, in quanto il suo brano, a pelle, non mi aveva del tutto convinto. Mahmood cantava un pezzo particolarmente orecchiabile, con un buon ritmo e ben interpretato. Scrivevo che sarebbe passato molto in radio anche perché aveva ottimi arrangiamenti. Su molte cose ci avevo visto giusto ma il voto, per me, era insufficiente. Ammetto di essermi sbagliato perché il brano si è guadagnato la sufficienza ma forse – dico forse – non avrebbe meritato la vittoria anche se ampiamente certificata dalle visualizzazioni in streaming (Mahmood ha totalizzato in cinque giorni 1.220.425 visualizzazioni e la donna cannone, considerata un capolavoro assoluto, ne ha in molti anni solo 4.356.990). I giovani hanno vinto, quelli che hanno permesso di far giungere due loro brani nel podio e i nostalgici, quelli che continuano a gridare che Sanremo è Sanremo, sono arrivati solo terzi con il più classico dei classici cantato da “Il volo”. E noi? Quelli curiosi, che speravamo in un Sanremo rivoluzionato ma non troppo, di un vero festival della canzone italiana come siamo messi? Abbiamo vinto anche noi. Ci siamo consolati per i premi di Silvestri e Cristicchi (la canzone parlata di Simone continua a non convincermi), siamo profondamente persuasi che Arisa (ormai un classico) aveva un bel pezzo e la febbre, ieri, l’abbia danneggiata (i maledetti e stupendi complotti) e che Loredana, finalmente restituita alla musica, non ha bisogno di vincere un festival. Tutti contenti? Più o meno. Sarebbe troppo facile buttarla in politica ma in conclusione possiamo affermare che Sanremo ha tenuto i porti aperti (e per porti si intende più metaforicamente la predisposizione ad accettare il nuovo che non è mai estraneo) e, visti i risultati, ha fatto benissimo. I Toto Cutugno, gli Al Bano, le Fiordaliso, i Zarrillo, le Syria se ne faranno una ragione. Poi l’anno prossimo si vedrà. Perché Sanremo è Sanremo ed è, dunque, Italia. Dal divano del festival è tutto.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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